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Robbie Rogers: «Sarebbe stato impossibile restare nel mondo del calcio dopo il mio coming out»

Lo scorso febbraio ha fatto coming out con un messaggio pubblicato suo sito personale ed ha contestualmente dato l'addio al mondo del calcio. Stiamo parlando del 25enne Robbie Rogers, il calciatore statunitense che tra il 2009 e il 2011 ha giocato anche per la Nazionale.
In un'intervista rilasciata al Guardian, Rogers ha ora spiegato i retroscena della sua decisione e le paure che lo hanno spinto a prenderla. Paure che affondano le radici nella sua infanzia, così come lui stesso racconta: «Mi resi conto che ero gay quando avevo 14 o 15 anni. Suonava un po come un "Io voglio giocare a calcio. Ma non ci sono calciatori gay. Che cosa devo fare?"».
«Ti senti come un reietto. Non potevo dirlo a nessuno, perché la scuola superiore negli Stati Uniti è brutale. Stai attraversando la pubertà e i bambini possono essere crudeli. Avevo la fortuna che le mie sorelle maggiori fossero molto popolari e che io ero visto come il ragazzino del calcio. Questo ha reso più facile mascherare me stesso. Ma era anche difficile.Ci sono state ragazze che ci hanno provato con me, e tu sei lì a dirti: "Sarebbe tutto più semplice se non gli interessassi e se potessi solo giocare a calcio". Continuavo a dire: "Non posso uscire perché ho allenamento oggi o una partita domani"».
Ed è così che Rogers si sforzò di iniziare ad uscire con delle ragazze: «Già. Ho cercato di cambiare me stesso. Ho avuto appuntamenti con ragazze belle, intelligenti e stupefacenti. Se fossi stato eterosessuale forse sarei impazzito. Alcune di loro sono tutt'ora mie amiche».
Dopo un passato nel club olandese dei Heerenveen, Rogers tornò a giocare negli Stati Uniti con i Columbus (in Ohio) con i quali vinse Coppa MLS nel 2008. «Con quella squadra incredibile abbiamo vinto il trofeo a Los Angeles, davanti alla mia famiglia. Poi siamo andati a festeggiare in un bar e mi sono detto: "Dovrei essere così felice ora...", ma ho lasciato il locale dopo un paio di drink e mi sono ritrovato seduto da solo nella mia stanza a dirmi: "Ok. Sono gay. Ma non posso uscire da questa situazione perché amo così tanto il calcio. Che cosa devo fare?". Più si raggiunge il successo, più è difficile riuscire a compiere un passo».
«Nel mondo del calcio è impossibile fare coming out perché nessuno l'ha mai fatto. È pazzesco e triste. E così ho pensato: "Perché non mi allontano e affronto tutto questo con la mia famiglia in modo da poter essere felice?"», racconta, ma anche in questo caso i dubbi erano tanti: «Avevo molta paura che i miei compagni di squadra avrebbero reagito. Anche se io fossi rimasto la stessa persona di prima, loro avrebbero cambiato atteggiamento nei miei confronti? Magari negli spogliatoi o sull'autobus?»
Un'ipotesi che nasceva anche dalle continue battute omofobe che sentiva sentiva uscire dalle loro bocche e che lo mettevano a disagio: «È in quei momenti che ho provato una sensazione terribile allo stomaco. Avrei voluto poter girare la testa dall'altra parte e cambiare discorso. Spesso non credevano davvero a quello che dicevano, ma erano solo alla ricerca di una risata. Ma è brutale. È come se ci si ritrovasse a vivere ancora una volta i tempi delle scuole superiori, ma con gli steroidi».
Ed è così che Rogers è giunto alla sua conclusione di ritenere «impossibile» poter rimanere nel mondo del calcio dopo il suo coming out. «Non credo che sarei stato in grado di andare allenamento il giorno successivo -dice- la cosa mi avrebbe spaventato troppo. Forse i ragazzi mi avrebbero detto: "È fantastico, Robbie", ma visto che nessuno l'ha fatto e per tutto ciò che ho sentito dire negli spogliatoi, ho pensato: "Ho bisogno di uscire da tutto questo, fare fare il mio annuncio e trovare la pace"»


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