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La Croazia ha detto «no» alle nozze gay

Il risultato era già stato preannunciato dai sondaggi, così come la scarsissima affluenza pare abbia voluto sottolineare il grande disinteresse della popolazione nei confronti di una scelta che riguarda una minoranza. Fatto sta che il 35% degli aventi diritto si è recato alle urne ed il 64,8% di loro si è espresso per chiedere una modifica alla Costituzione che definisca il matrimonio come «unione fra un uomo e una donna». Dato che in Croazia non è previsto alcun quorum, il divieto alle nozze gay entrerà ora automaticamente nella carta fondamentale.
Il referendum è stato promosso da un'associazione cattolica ultraconservatrice ed ha presto ottenuto l'appoggio della Chiesa cattolica e della destra del Paese. Tutti i vescovi, durante le loro omelie del 1° dicembre, hanno anche invitato i fedele presenti a recarsi alle urne per esprimersi «a favore della definizione cristiana del matrimonio».
Dubbi sulla legittima del voto sono stati sollevati da chi si domanda come il 35% dei 3,8 milioni di aventi diritto possa decidere una modifica dal potere costituzionale, così come la Corte costituzionale croata ha spiegato che la «definizione del matrimonio come un'unione tra un uomo e una donna» non inciderà sulla definizione della famiglia e che l'esito del referendum «non può in nessun modo limitare uno sviluppo futuro della regolamentazione legislativa delle unioni civili tra le persone dello stesso sesso».
Il primo ministro Zoran Milanović non ha avuto dubbi nel definire «triste e inutile» questa consultazione pubblica (che a suo parere «non è altro che una manifestazione di omofobia») ed ha annunciato che tra un paio di settimane il suo governo intende presentare una legge sulle unioni civili tra le persone dello stesso sesso.


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