Chi c'è dietro Ines Brambilla?
«In diverse pagine stanno cercando di distruggermi mediaticamente, con la solita macchina del fango creata apposta per eliminare i personaggi scomodi». Così Ines Brambilla ha commentato l'articolo in cui ci si siamo occupati di lei.
Wikipedia definisce "macchina del fango" un'«attività coordinata di un gruppo di pressione e volta a disonorare e delegittimare una persona tramite la diffusione di notizie, variamente manipolate o anche false, riguardanti specialmente la sua vita privata». Eppure il dare visibilità alle sue affermazioni (con tanto virgolettati che si commentino da soli) non rientra in quella definizione se non per un senso di vittimismo di chi preferisce sentenziare presunti pareri scientifici senza che a nessuno venga permesso di contestarli. Allo stesso modo è sempre Wikipedia a parlare di Joseph Nicolosi (da lei definito un «esimio Psicologo» in quanto base delle sue teorie) come «uno psicologo clinico statunitense, noto esclusivamente per le sue discusse teorie riparative dell'omosessualità, considerate comunque prive di fondamento scientifico dai principali enti di ricerca in ambito psicologico, tra i quali l'American Psychiatric Association». Quindi mettere in discussione chi vuol sostenere che la scienza ufficiale sia tutta in errore perché contraria alla proprie convinzioni religiose e politiche (la donna si definisce fervente cattolica e fra i le sue pagine preferite sono numerosi i riferimenti a Forza Nuova e al fascismo, ndr) forse è dettato principalmente più dal buonsenso che da altro.
Ed è sempre il buonsenso a suggerire che forse è proprio lei l'unica artefice di una vera e propria macchina del fango nei confronti del mondo lgbt: insieme al suo team pubblica immagini decontestualizzate, articoli con traduzioni tutt'altro che letterali, finti "pareri medici" che accostano i gay alla pedofilia, minacce di punizioni divine per gli omosessuali e incitamenti alla creazione in Italia dei gruppi criminali ultranazionalisti che hanno disseminato violenze e morte in Russia.
Nel suo mirino è finito anche un gruppo "colpevole" di ripubblicare i suoi post e di permettere che le persone possano commentare (un privilegio che sulla sua pagina è riservata solo a pochi, ndr), nei confronti dei quali non sono mancate intimidazioni (la donna afferma di averli denunciati alla polizia postale e che tutti «pagheranno le conseguenze»).
Chi c'è dietro. Sappiamo che la donna sostiene di essere una psicologa nonostante il suo nome non appaia iscritto all'albo («uso uno pseudonimo» è la sua giustificazione), così come sostiene di lavorare a Milano in un centro di terapie riparative chiamato "La Rinascita". Su internet non è possibile trovare alcuna indicazione di quella struttura, così come all'indirizzo indicato su Facebook è possibile imbattersi solo in un supermercato. A giugno ha annunciato che un'altra professionista si è unita alla sua causa ma, anche in questo caso, il nome non compare nell'albo nazionale.
Ma qual che più è stano è trovare commenti in cui le sue "collaboratrici" lamentano di aver ricevuto (e prontamente cestinato) richieste di amicizia da parte di omosessuali, così come appare inutile provare a contattarla per aver informazioni sulle sue presunte terapie (sia che a presentarsi fosse un gay desideroso di "guarire" o una persona interessata a saperne di più, tutti i tentativi non hanno mai ottenuto risposta così come la donna si è sempre preoccupata di bloccare la fonte della richiesta). Se la loro attività fosse davvero quella dichiarata, che senso avrebbe negare informazioni su quella struttura? Dal metodo Di Bella alle ricerche sulle staminali, qualsiasi medico che crede realmente in quello che dice è generalmente felice di ricevere attenzione mediatica e di poter esporre pubblicamente le proprie ricerche. Qui, invece, pare si cechi solo tanta segretezza.
L'unico segnale di un suo presunto "paziente" è in un commento datato 9 novembre, nel quale una persona sentenzia: «Non hai idea di quello che subisce giornalmente la Dottoressa Brambilla, purtroppo gli escrementi che vengono qui a commentare, facendo i paladini della giustizia, non sono altro che dei violenti, pazzi pericolosi imbecilli. Lasciatela in pace, è il suo profilo, è il suo pensiero, e con la sua attività ci aiuta a superare i nostri problemi. Cliccando sul nome dell'autore, però, si finisce su un profilo completamente vuoto se non per due apprezzamenti rivolti ai gruppi "No ai matrimoni gay" e "Contro l'eterofobia" (esattamente come avviene per la maggior parte delle persone che paiono spalleggiarla).
Curioso è anche come la donna ribadisca più volte di lavorare da quarant'anni nel campo delle terapie riparative, nonostante le "cure" da lei citate siano state formulate solo quindici anni fa. Allo stesso modo non passa inosservata l'attività incessante dei sui account, decisamente curiosa per chi dice di non aver interesse verso i social network (nonostante l'utilizzo spasmodico e il continuo tentativo di insultare i gay per poi lamentarsi se qualcuno la manda a quel paese. «queste sono le persone e le pagine che difendono certi comportamenti criminali» lamenta).
L'uso di termini medici è del tutto assente, al contrario di termini legati al mondo cattolico o di estrema destra (assai frequenti, al punto che le sue teorie vengono spesso giustificate solo citando alcuni versetti della Bibbia estrapolati dal contesto). Insomma, l'impressione è che si tratti di una persona (o di un gruppo più articolato) che utilizzano Facebook solo per alimentare la discriminazione e per diffondere disinformazione accreditandola con un titolo accademico non verificabile.
Destinata a rimanere senza una risposta certa è la domanda fondamentale: considerato la mole di lavoro svolta ed appurato il disinteresse a fornire informazioni sulle proprie attività, a cosa è finalizzata l'intera operazione?
L'aiuto di Facebook. Incomprensibile ed inconcepibile è l'atteggiamento di Facebook nei suoi confronti. Sappiamo che il sito vieta qualsiasi incitamento all'autolesionismo (ma lei può invitare a sottoporsi a trattamenti che generalmente -perlomeno nei casi conosciuti- si basano sulla creazione di nuovi traumi psicologici che inibiscano le pulsioni sessuali), così com'è vietato fomentare l'odio nei confronti dei vari orientamenti sessuali (ma la segnalazione dei suoi post finisce sempre con un nulla di fatto, contrariamente ai baci gay che troppo spesso vengono eliminati senza particolari spiegazioni). Un'evidenza che lei stessa ha ammesso in un post in cui sosteneva il proprio diritto d'opinione (o di insulto) e in cui minacciava di ricreare nuovi profili una volta chiuso l'attuale.
I profili omofobi più conosciuti e più violenti (spesso utilizzati proprio per lanciare insulti gratuiti all'interno dei vari siti e gruppi lgbt) si contano sulle dita di una mano e per il social network non sarebbe certo difficile riuscire arginare il fenomeno se solo lo volesse. In più occasioni Facebook ha sostenuto di voler contrastare il bullismo omofobo, ma permettere ad una sedicente psicologa di festeggiare quando l'omofobia da lei fomentata riesce a mietere vittime o di permetterla di rivolgersi ai gay utilizzando solo appellativi offensivi appare andare in una direzione diametralmente opposta.
Update ore 22: Il profilo Facebook della signora Brambilla pare sia stato bloccato per qualche ora ed alcuni utenti segnalano di aver ricevuto un messaggio in cui il social network li informava di aver rivisto la propria decisione riguardo alle loro segnalazioni, procedendo alla rimozione di alcuni contenuti ritenuti un «incitamento all'odio». Nel giro di poche ore, però, un nuovo messaggio di Facebook ha segnalato una nuova decisione ed il ripristino di almeno una decina di post-insulti precedentemente rimossi.
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