Cosa avviene nei "campi di conversione" dei gay?

Dal mondo cattolico ed omofobo spesso si sollevano le voci di chi sostiene che l'omosessualità possa essere "curata". È questa la tesi sostenuta da alcuni gruppi religiosi e politici, spesso motivati dal non voler accettare l'esistenza della diversità e pronti porsi come punto di riferimento per determinare cosa sia giusto e cosa non lo sia (secondo un'ideologia non troppo dissimile da quella della razza ariana teorizzata in epoca nazista).
Non troppo occulti sono anche i loro scopi: teorizzare che l'omosessualità non sia naturale è lo strumento che può conferire la possibilità di attaccarla, giustificando le proprie discriminazioni dietro alla scusa che quella sia solo una "scelta" criticabile. Ma non solo. Attorno alle fantomatiche terapie riparative ruota anche un giro di affari che sfiora i due miliardi di dollari all'anno solamente negli Stati Uniti.
Da notare è anche come tutti si dicano pronti a sostenere l'esistenza di quelle fantomatiche "cure" (nonostante gli sventolati casi di ex-gay spesso smentiscano o vengano pizzicati a cercare compagnia di persone dello stesso sesso), ma ben pochi si addentrino nel spiegarne le modalità. Forse anche dato l'imbarazzo di dover descrivere metodi più consoni a campi di tortura che a centri clinici.
Eppure alcuni sopravvissuti (e di questo si tratta dato che il numero accertato di vittime è agghiacciante) trovano il coraggio di parlare e di raccontare quanto subito in quei fantomatici "campi di conversione" dell'omosessualità.
Il tutto ha inizio generalmente su Internet, la piazza ideale su cui i vari centri illustrano le loro pseudo-teorie alla ricerca di persone incapaci di accettarsi o di genitori che non vogliono avere figli diversi da come loro avrebbero voluto. Da qui inizia una vera e propria prigionia.

Un ragazzo racconta di essere stato spedito in uno di quel centri dal padre, convinto che la sua omosessualità fosse anormale: lì è stato costretto a guardare film pornografici gay con due elettrodi collegati ai testicoli. Ogni qualvolta mostrava un'erezione, i suoi "guaritori" provvedevano ad inviargli un impulso elettrico che gli causasse un grande dolore (praticamente con le stesse modalità illustrate da Kubrick nel suo "Arancia meccanica"). Il padre sarà stato felice nel vedere che il figlio, una volta finite le torture a cui lo aveva condannato, lo ha assecondato nello sposare una ragazza: ma il matrimonio è presto finito dato che lei era lesbica (forse sufficientemente mascolina da corrispondere ai canoni ricercati dal giovane) e lui ha poi scelto di iniziare una nuova storia con un ragazzo.
Altre testimonianze parlano di "terapeuti" intenzionati a fargli un lavaggio del cervello per convincerli che l'omosessualità fosse una conseguenza di un trauma. «C'era una stanza per le riflessioni solitarie in cui venivo mandato spesso -racconta uno di loro- Era terribile. Passavo giorni interi seduto in quella stanza senza cibo né acqua perché negavo Gesù e rifiutavo di ammettere di avere problemi che non avevo».
Non mancano i racconti di chi non ce l'ha fatta, come una ragazza di 17enni che tra le lacrime aveva chiesto ai genitori di portala via da lì, perché in quei campi si cercava solo di inculcarle un senso di disgusto verso sé stessa. Loro le hanno imposto di concludere la "terapia" ed un mese più tardi la ragazza si è tolta la vita. In un biglietto rivolto ai genitori scrisse: «Cari mamma e papà, vi amo nonostante stiate sbagliando così tanto. Mi avete insegnato l'odio e a sentirmi disgustata di me stessa, invece che ad amarmi».

Via: Gay.it


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