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Cremona esce dalla rete che sostiene i bisogni lgbt

Attraverso il voto di Massimiliano Salini e della sua giunta, la provincia di Cremona ha deciso di revocare la sua adesione alla Re.a.dy (Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni anti discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere) volta a promuovere politiche dedicate «ai bisogni delle persone Lgbt» per «migliorarne la qualità della vita».
Secondo Arcigay, è «un atto sorprendente, di una gravità inaudita. Una strumentalizzazione a fini elettorali argomentata con superficialità e disprezzo. A fine corsa Salini e i suoi assessori scelgono questo modo squallido per presentare il proprio bilancio a somma zero in tema di lotta alle discriminazioni. E infatti Salini, nelle sue dichiarazioni, si mostra addirittura sollevato perché la rete (cioè, a Cremona, la Provincia) non ha "svolto una particolare attività nel nostro territorio"».
Di parere diametralmente opposto, però, sono i vescovi italiani che, attraverso un articolo pubblicato da Avvenire, sostengono come l'unico scopo di quell'accordo fosse il «divulgare un tipo di ideologia che oggi è ben rappresentata da esempi come il disegno di legge Scalfarotto, per cui il fatto di non essere in linea con il riconoscimento dei matrimoni omosessuali può essere visto come una discriminazione da punire». Ed è così che il quotidiano ha plaudito alla decisione di interrompere ogni politica di tutela della comunità gay e alla scelta del politico cremonese di scendere in piazza con le "Sentinelle in piedi" per chiedere la tutela della famiglia naturale.
C'è da chiedersi dove andremo a finire se le pubbliche amministrazioni continueranno a cedere al volere dei vescovi, sostenendo che il diritto all'esistenza dei gay sia una violazione del diritto di opinione dei cattolici. Perché non può esserci che falsità in chi riduce qualsiasi argomento legato al diritto dei gay ad una "minaccia" alla famiglia naturale, utilizzando quella scusa per legittimare ogni forma di discriminazione e di odio.


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