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Il nuovo presidente degli scout statunitensi darà una svolta alla politica sui gay?

La perdita del 6% di iscritti in un solo anno è la dimostrazione di come la nuova politica sui gay dei Boy Scouts of America (BSA) non piaccia a nessuno. Gli omofobi non gradiscono che le attività siano state aperte ai ragazzi gay, gli altri trovano discriminatoria l'espulsione automatica una volta raggiunta la maggiore età. Alla base della scelta c'è la presunta convinzione che un minorenne cristiano non farebbe mai del sesso prematrimoniale e che quindi i ragazzi non hanno ancora "peccato" praticando del sesso omosessuale.
Quel cavillo ha già portato alla scissione del gruppo, al taglio dei finanziamenti da parte della Disney e l'abolizione dell'esenzione fiscale in California.
Ora c'è da chiedersi se la situazione sia destinata a cambiare. Il neoeletto presidente della BSA, infatti, è Robert M. Gates, l'ex segretario della Difesa e direttore della Cia. Il suo nome potrebbe non risultare familiare, ma basti sapere che è stato uno dei principali artefici della fine del «Don't ask, don't tell» (la norma vigente dal 1993 che consentiva ai gay di prestare servizio nelle forze armate statunitensi a patto che nessuno avesse dei sospetti riguardo alle loro preferenze sessuali). Anche in quel caso la norma venne introdotta dall'amministrazione Clinton come unica forma di mediazione possibile con le frange più omofobe, risultando però un'ipocrisia simile a quella oggi messa in atto dagli scout statunitensi.
«Se c'è qualcuno che sa che i gay e le lesbiche possono rafforzare un'istituzione, quello è Gates» è stato il commento di Rich Ferrero, portavoce dell'associazione per i diritti lgbt Glaad.
I tempi, però, non appaiono brevi: Gates ha già dichiarato di essere favorevole alla rimozione della messa al bando dei gay adulti, pur precisando che «riaprire la questione provvederebbe una nuova scissione nel movimento».


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