Napoli registrerà i matrimoni gay contratti all'estero
«Siamo convinti che il primo cittadino abbia il diritto e il dovere di far trascrivere presso gli uffici dell’Anagrafe e dello Stato civile i matrimoni che, purtroppo, per ora possono essere celebrati soltanto all'estero». È con queste parole il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha annunciato che darà mandato all'anagrafe del Comune di Napoli affinché inizi la trascrizione dei matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso.
In tal modo si seguirà quanto disposto dalla storica sentenza pronunciata dal Tribunale di Grosseto (che lo scorso aprile impose al Comune la trascrizione di un matrimonio fra due uomini celebrato a New York), già applicata dal capoluogo toscano e dal Comune di Fano.
La buona notizia, però, rischia di essere oscurata da una una considerazione molto pragmatica. Il completo immobilismo del governo (che per anni ha ignorati le richieste di un riconoscimento per le coppie gay) ha portato a provvedimenti locali che finiscono con l'annullare il principio costituzionale della «pari dignità sociale» fra i cittadini. In alcuni comuni sarà infatti possibile veder riconosciuto il proprio matrimonio, in altri no. Inoltre quel diritto finirà necessariamente per divenire un privilegio riservato ai soli cittadini che dispongono di una disponibilità economica sufficiente a potersi pagare quel viaggio, ancora una volta contravvenendo all'articolo 3 della costituzione (nel quale si stabilisce chiaramente come la Repubblica non possa creare distinzioni sulla base di «condizioni personali e sociali»).
Se Renzi manterrà la sua promessa e porterà avanti le sue unioni-ghetto, vien da sé che si discuterà di soluzioni più degradanti e limite rispetto ad un matrimonio celebrato all'estero e trascritto nell'anagrafe cittadina. È davvero accettabile che il governo resti ancora una volta indietro con i tempi al solo fine di garantire concessioni alle aree più omofobe e conservatrici del Parlamento? O forse è tempo di chiedere il coraggio di rimanere al passo con i tempi e di iniziare a parlare di un'uguaglianza che parta anche dall'utilizzo dello stesso nome per definire il medesimo rapporto giuridico?
«La paura di un nome non fa che incrementare la paura della cosa stessa» affermava Silente nei libri di Harry Potter. Possibile che il mondo politico non riesca a comprendere ciò che persino un libro per bambini è in grado di spiegare?