La deputata Eugenia Roccella riscrive la storia della coppia gay canadese
È lecito che una parlamentare italiana si permetta di diffondere informazioni false al solo fine di poter ottenere frasi a maggior effetto? C'è da chiederselo, perlomeno dopo aver letto un articolo pubblicato da Eugenia Roccella sul proprio blog (ed immediatamente ripreso da Tempi.it) dal titolo «Due papà non fanno una mamma».
La parlamentare del Ncd ha infatti ricostruito la vicenda della «coppia gay canadese» immortalata mentre abbraccia, commossa, proprio figlio. L'emozione di cui hanno parlato i giornali è per lei «un indefinibile turbamento che coglie qualunque donna osservi le foto dei due, che, a torso nudo, tengono il piccolo pelle contro pelle. In una sola inquadratura, ai margini, si intravede il profilo di una donna dall'espressione smarrita e sofferente; è la donna che ha tenuto quel bimbo nel suo grembo per nove mesi, che lo ha appena partorito, e deve subito consegnarlo ad altri, come da contratto. È stata pagata per questo, ha fatto il suo lavoro».
Peccato che le cose non siano assolutamente andate così. Si potrà anche essere favorevoli o contrari, ma il confronto dovrebbe basarsi sui fatti e non su una storia inventata di sana pianta.
Innanzi tutto i due non sono «una coppia» ma sono sposati da tempo. La donna non ha utilizzato un proprio ovulo (quindi non è la madre) né è stata pagata per la gravidanza: è una loro amica che -in accordo con il marito e i due figli- si è spontaneamente offerta di portare in grembo loro figlio. Persino la presenza della fotografa è stata voluta dalla donna, la quale ha chiamato una sua amica ad immortalare il momento.
Il riferimento al torso nudo pare invece buttato lì per ricordare quanti nei giorni scorsi hanno parlato di un gesto riconducibile alla pedofilia, quando in realtà la pelle nuda è stata suggerita per far sentire al piccolo il calore del corpo e l'odore dei padri.
In quest'ottica il sostenere che «quel bimbo è stato ottenuto attraverso il nuovo mercato della genitorialità, che prevede procedure ben definite: cataloghi da cui selezionare le cosiddette "donatrici", mediatori competenti, avvocati, contratti, pagamenti, penali da pagare se il contratto non è rispettato» non può che apparire mera propaganda. Non ci sono stati avvocati, soldi o mediatori.
Il negare che l'utero in affitto sia una pratica a cui accedono in prevalenza le coppie eterosessuali o alterare i racconti delle vicende che si pongono ad esempio sono presupposti che svuotano di ogni significato le riflessioni sul tema: ogni discorso serio dovrebbe basarsi su fatti reali e non ideologici. Così com'è ideologico lasciar pensare all'utero in affitto come di un «pericolo» a cui si va incontro: basterebbe guardare i costi per capire che è una pratica accessibile solo ai ricchi (che notoriamente possono ottenere ciò che vogliono senza preoccuparsi troppe delle leggi) e che quando si parla di adozioni gay la gente comune è solita all'adozione di bambini abbandonati dai propri genitori (alcuni dei quali lasciati direttamente nei cassonetti o per strada).
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