Internet ed i consigli cristiani al coming out dei figli (molti dei quali aumentano il rischio di suicidio)
Sul web ci sono centinaia di siti cristiani che offrono dei suggerimenti su come comportarsi se nostro figlio dovesse dirci di essere gay. Curioso è come la quali totalità di loro non abbia dubbi nel condannare l'omosessualità e nel giustificare un senso di «vergogna e paura» da parte del genitore.
«Ho scritto dei versetti biblici su foglietti che ho appeso in tutti i luoghi della casa. Sullo specchio del bagno, sopra il lavandino della cucina e in la mia macchina. Hanno contribuito a tenermi concentrato su colui che mi dà speranza, piuttosto che sulla disperazione della situazione», racconta una donna. «Ha vissuto chiusa nella mia camera da letto per giorni. Ha chiuso le persiane, ha spento il telefono e non volevo più affrontare il mondo dopo che mia figlia mi ha detto di essere lesbica», aggiunge un'altra.
Ma, venendo ai suggerimenti, un sito sostiene la necessità di mettere da parte «la giusta rabbia» nei confronti dei figli e di dimostrargli tutta la nostra delusione piangendo davanti a loro. Fatto questo si potrà iniziare a dialogare con loro, offrendoci di aiutarli a cambiare (ma senza imbarazzi, dato che «l'imbarazzo rallenta il processo di guarigione»). Il padre dovrà prendere le redini della situazione, mentre la madre dovrà allontanarsi dai figli maschi dato che l'omosessualità potrebbe dipendere da un rapporto madre-figlio troppo intenso... «dopo tutto, quello che il figlio gay deve imparare è come relazionarsi adeguatamente con persone dello stesso sesso» dice l'articolo.
Un altro sito non ha dubbi: dinnanzi ad un figlio gay, è necessario «pregare e digiunare nella fede e chiedete a Dio la sua guarigione». L'articolo suggerisce anche di non credere alla scienza e di confidare in un miracolo che possa rendere possibile una conversione all'eterosessualità. Nel frattempo bisognerà «accertate quali adulti o amici stanno influenzando vostro figlio in questa stagione vulnerabile e impressionabile della sua vita».
Il diktat finale è di non parlarne con medici o con associazioni lgbt: «Sono lupi travestiti da pecore. Devono essere evitati come la peste! Sono moltitudini viscide, subdole e seducenti», dicono. Preferibile è rivolgersi esclusivamente «a personaggi biblicamente fedeli» che possano "curare" l'omosessualità. Aberrante è il passaggio in cui viene ricordato che alcuni leggi permettono di imporre tali terapie ai figli, anche contro la loro volontà, se vivono ancora in famiglia.
Insomma, la via indicata pare sia sempre quella del senso di colpa, giustificato nei genitori e da incutere nei figli. «Mi hai deluso, devi cambiare perché non sei come ti avrei voluto», è la frase che un articolo suggerisce di dire ai figli.
Persino i consigli psicologici di un giornaletto di bassa lega non avrebbero difficoltà a notare come il tutto sia riconducibile al puro egoismo: l'individualità viene annullata, la condanna è data come presupposto e la vita dei figli diviene una scelta dei genitori. E questo ancor prima di entrare nel dettaglio su come l'orientamento sessuale non sia una scelta e di come il tutto equivarrebbe al colpevolizzare i figli che non nascono con gli occhi verdi (anche se i genitori avrebbero tanto voluto).
Interessante è intrecciare questi dato con i risultati di una recente ricerca condotta dal Williams Institute che ha analizzato le reazioni di chi non riesce ad accettare ala propria omosessualità, notando come il numero di suicidi sia decisamente inferiore fra le persone che hanno scelto di affrontare la questione con un medico rispetto a chi ha preferito rivolgersi a figure legate alla fede o alla religione.
Osservando le modalità con cui si cerca di colpevolizzare le persone non è difficile capire il motivo di un dato così allarmante, resta però da chiedersi se rientri nella «libertà religiosa» l'adozione di pratiche e parole che spingono le persone al suicidio (colpendo in particolar modo i più deboli, incapaci di reagire a quelle violenze).