Se quelli sono i suoi amici gay, inizia a diventare comprensibile l'omofobia di Feltri...

Folgorato da un'improvvisa conversione gay-fiendly, Vittorio Feltri ha pubblicato su Il Giornale un articolo in cui afferma: «I gay vogliono sposarsi? Poveri loro, ma perché no».
Nel testo cita l'amico Paolo Isotta, critico musicale de Il Corriere della Sera, che pare si sia risentito di fronte all'apertura nei confronti di quelli che lui definisce «ricchioni piccolo-borghesi». Ed è così che, presa carta e penna, ha scritto le sue considerazioni al direttore del giornale. Quest'ultimo, però, si è rifiutato di pubblicarle ed è lui stesso a raccontare come «il direttore Sallusti ha abdicato alla sua abituale cortesia non facendomi nemmeno una telefonata».
Isotta si è così rivolto a Giuliano Ferrara, pronto ad aprirgli le porte de Il Foglio per permettergli di presentare la sua discutibilissima esperienza personale come se fosse una verità assoluta.
«Io ho avuto per tutta la vita anche rapporti omosessuali -scrive Paolo Isotta- ma caratterizzati dal fatto che questo tipo di eros lo concepisco come lo sfogo degli istinti più violenti e profondi; e quindi come fondamentalmente carnale. Tanto ciò vero che questi rapporti, sin da quando ero adolescente, li avevo a pagamento, perché uno degli elementi d'eccitazione era il fatto di non conoscere il soggetto col quale m'incontravo e di non dover cercare di piacergli; anzi, l'idea di fare l'amore con qualcuno che ti odiasse: sai, le forme che l'eros assume sono davvero infinite, ma la mia non è isolata né minoritaria. Credo che ciò, che sta passando di moda, sia incompatibile collo stesso status, come dire antropologico, del gay il quale ricerca l'affetto e la condivisione dei sentimenti dal suo compagno, occasionale o, sempre più, ahimé, istituzionale. In quanto cattolico, se sono d'accordo con te a concedere ai gays (il termine è quello da lui scritto, ndr) il matrimonio civile, non posso accettare sia loro accordato un sacramento che Cristo ha previsto secondo forme immodificabili di fronte all'eternità».
Insomma, pensieri personali di una vita molto discutibile presentati come se fosse un sentimento comune a tutti gay (nonostante la maggior parte di loro proverà sicuramente repulsione nell'ascoltare le sue considerazioni). Ma è proprio in virtù di un racconto simile che si possono comprendere le ragioni di Feltri: se il suo rapporto con i gay è passato da esempi come quello, allora la sua omofobia assume un significato... chi mai vorrebbe dare diritti civili ad una persona che vive così la propria sessualità?
Insopportabile è anche il tentativo di attribuire le proprie scelte di vita ad un orientamento sessuale, quasi come se il far ricadere le proprie colpe sugli altri fosse garanzia di un'assoluzione per le proprie colpe. Non è l'essere gay a far preferire il sesso mercenario o il rapporto occasionale, è la persona. Bisognerà però capire quanti lettori della rubrica "Gay & recchie" de Il Foglio sapranno discernere le due cose...


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