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Vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci

Il Comitato della Famiglia è un gruppo di cittadini che si vanta di aver appoggiato l'occupazione del Municipio XIII di Roma al fine di impedire una democratica votazione sull'istituzione di un registro delle coppie di fatto. La loro pagina Facebook riporta che il comitato è nato il 25 novembre 2013 in opposizione al registro approvato dal Municipio XIV di Roma, salvo poi essersi riciclato per opporsi a qualsiasi provvedimento similare in tutte le altre aree della città. Nei pochi post pubblicati non mancano motti come «no all'ideologia gender», «noalla propaganda lgbt», «no al ddl Scalfarotto» e via dicendo. Tutti proclami già noti, al punto che non stupisce come fra le loro amicizie figurino la Marcia per la Vita, Provita e La Manif Pour Tous Italia. Completano il quadro le foto che li mostrano marciare insieme ad icone religiose e bandiere di Militia Christi, così come non mancano i resoconti della partecipazione ad eventi organizzati dalle Sentinelle in Piedi e dalla Manif Pour Tous Italia.
L'impressione è di essere di fonte ad un gruppo già visto con tesi già sentite, in una sorta di gioco di specchi che moltiplica il valore nominale: se una persona scende in piazza varrà uno, ma se la stessa persona si farà conteggiare sia all'interno del Comitato della Famiglia, sia come parte dell Sentinelle o della Manif Pour Tous, allora varrà tre. Allo stesso modo se ad una manifestazione partecipano più sigle, l'impressione mediatica sarà quella di un parere condiviso anche se magari i volti sono sempre gli stessi.

Dal punto di vista ideologico le idee paiono poche o confuse. Si afferma che un registro delle coppie di fatto «non comporta nessun vantaggio concreto alle coppie conviventi» salvo poi lamentarsi che il «registro delle unioni civili è l'immagine istituzionale di un matrimonio leggero, ritagliato a misura di chi vuole per sé diritti che competono alla famiglia, non assumendo i doveri che ne sono simmetrici» (ma non era privo di vantaggi concreti? ndr).
Allo stesso modo si afferma che «la convivenza non fondata sul matrimonio non è quella a cui si rifiuta i diritti, ma quella che rifiuta per propria decisione i doveri» salvo poi sostenere la necessità di impedire l'accesso a quell'impegno alle coppie gay che chiedono a gran voce di potersi assumere uguali doveri. Tale tesi viene argomentata da una ridefinizione del matrimonio come di «una pubblica assunzione di responsabilità da parte dei coniugi verso la società, soprattutto in ordine alla generazione e all'educazione dei figli».
Se davvero si credesse a tali tesi, perché mai il Comitato per la Famiglia non scende in strada a pretendere l'annullamento dei matrimoni eterosessuali che non hanno portato alla generazione di figli? A questo punto potremmo pretendere un certificato di fecondità come prerequisito delle nozze o chiedere l'arresto di tutte quelle donne sposate entrate menopausa senza aver dato alla luce almeno un figlio (o anche di quei genitori eterosessuali che non hanno dato una buona educazione alla propria prole).
Peccato che queste rivendicazioni non ci siano, motivo per cui quelle frasi appaiono come una pura strumentalizzazione buttata lì solo per legittimare l'illegittimabile (hai voglia poi a titolare l'articolo "I perché del nostro no").

Totalmente inqualificabile è infine il tentativo diffuso di difendere lo status quo con motivazioni religiose. Se al posto di usare la Bibbia come un'arma la si leggesse, forse si saprebbe che Gesù ha detto: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi». La difesa delle discriminazioni o il sostenere che l'omofobia sia un'opinione può davvero essere considerato un frutto buono?


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