L'Italia cattolica (ma non praticante)
Spesso si indicano «i cattolici» come i principali oppositori alla parità di diritti per i gay. Il termine, però, è inesatto dato che sarebbe più corretto parlare di «cattolici non praticanti». È quanto emerge dai dati diffusi dall'Istat in merito alla frequentazione dei luoghi di culto.
Tra il 1995 e il 2010 si è assistito ad un progressivo ed inarrestabile calo di chi dichiara di andare a messa almeno una volta alla settimana (un precetto previsto dal cattolicesimo). In quindici anni si è infatti passati dal 39,7% al 32,0%, mentre è cresciuto il numero di chi non non ci va mai (salito dal 15,2% al 26,7%).
Secondo una ricerca commissionata qualche anno fa dal Patriarcato di Venezia, tali dati sarebbero da intendersi come molto ottimistici, dato che si è osservato come le risposte fornite spesso coincidano con ciò che si presume l'intervistatore voglia sentirsi dire. La discrepanza pare possa arrivare addirittura a dimezzare le cifre rilevate dall'istituto di ricerca.
L'atteggiamento prevalente è il dichiararsi "cattolici non praticanti", ossia il collocarsi una posizione di comodo che permetta di rifarsi alla tradizione pur senza assumersene gli oneri. Tale dato troverebbe conferme anche nei dati emersi in altri contesti, come la ricerca che ha evidenziato come molte persone che si dichiarano cristiane siano solite condividere i dogmi della Chiesa solo nei confronti di ciò che non li riguarda direttamente (con un 66% pronto a sostenere l'opposizione alle nozze gay e solo il 16% pronto a rispettare i dogmi contro il divorzio).
Ecco dunque che la religione può divenire una scusa per giustificare i propri pregiudizi o per sentirsi a posto con la coscienza attraverso una condanna morale nei confronti degli altri. Il tutto senza mettersi troppo in gioco e senza perdere tempo ad approfondire i temi della fede (spesso appresa solo tramite la superstizione o gli slogan lanciati in TV dal politico o dal religioso di turno).
L'esempio più eloquente è la sicurezza con cui la maggioranza delle popolazione si dice certa che Dio abbia condannato l'omosessualità, spesso dimostrando di non avere la più pallida idea di quelle differenza intercorra fra il Vecchio Testamento, i vangeli o gli Atti degli Apostoli o di come i passi citati includano innumerevoli condanne verso innumerevoli gruppi (il che spiega perché i vertici vaticani tendano a non citare quei brani come argomentazione, contrariamente a quanto fanno molti gruppi integralisti che non hanno certo scrupoli nello strumentalizzare le Scritture per raggiungere i propri fini).