Mario Adinolfi fonda il suo quotidiano
Dal 13 gennaio prossime le edicole italiane potrebbero ritrovarsi a dover ospitare anche "La Croce", un nuovo quotidiano fondato da Mario Adinolfi che che lui stesso dedica «ai tradizionalisti» come «strumento che risponda quotidianamente al cannoneggiamento [dei progressisti] e disponga alla battaglia».
Dalla presentazione appare evidente che la linea editoriale sarà volta a combattere il matrimonio egualitario e le famiglie lgbt in virtù della popolarità acquisita con il libro "Voglio la mamma", una raccolta di banalità e pregiudizi che lo hanno portato a divenire un astro nascente del movimento anti-gay. Il finanziamento dell'opera pare passerà attraverso i suoi circoli, ricchi di persone che evidentemente ritengono sia preferibile donare i propri soldi alla battaglia contro i diritti civili anziché a ad opere meno meritevoli come il contrasto della povertà, la schiavitù, le guerre o i bisogni di bambini che hanno un padre e una madre ma non un futuro.
E questo senza entrare in questioni troppo personali, anche se forse basterebbe dare uno sguardo al suo profilo Facebook per chiedersi se si sia davvero di fronte ad una persona in grado di difendere i diritti dei bambini (così come lui ripete ossessivamente): ad esempio, nonostante sia un personaggio pubblico non particolarmente amato, non si fa alcun problema a pubblicare e dare in pasto ai suoi detrattori decine e decine di fotografie dei suoi figli (anche con scatti che le forze dell'ordine ritengono possano esporre i bimbi al rischio di finire in qualche rete pedopornografica, come quello in cui la figlia viene mostrata nuda mentre fa il bagnetto). Allo stesso modo sostiene di voler "difendere" la famiglia attraverso l'opposizione alle nozze gay, eppure nel 2012 non si è fatto problemi a sostenere una legge per la legalizzazione del poker (e pare inutile notare quante famiglie siano state distrutte dal gioco d'azzardo a fronte di un qualcosa che si capisce bene come possa essere reputato una minaccia).
Tornando al quotidiano, il titolo è un riferimento alla croce su cui venne crocefisso Gesù, quasi a volersi arrogare il diritto di sostenere che essere cristiani significhi essere contro i diritti degli altri. Eppure basterebbe leggere i Vangeli (assai troppo spesso branditi come un'arma e non utilizzati per comprenderne il messaggio d'amore) per notare una serie di contraddizioni.
Sappiamo tutti che Gesù fu un grandissimo riformista, si oppose a tantissime tradizioni dell'epoca e infranse numerosi tabù. Si pensi anche solo alla parabola del fariseo e del pubblicano, dove Gesù fu assai chiaro nel condannare chi si esalta e crede di detenere la verità assoluta, indicando come gli umiliati possano avere assai più ragioni e virtù. Sappiamo anche che conquistò una certa popolarità fra la gente e che venne condannato a morte solo grazie all'opera e alla corruzione perpetrata dai tradizionalisti dell'epoca, certi che la sua sola esistenza potesse rappresentare una minaccia al loro status quo. Furono loro ad insinuarsi fra la gente e a convincerli ad urlare: «Barabba, Barabba!».
Se tornassimo indietro di duemila anni, dove troveremmo collocato Adinolfi? Si schiererebbe fra le fila di chi lanciava un nuovo messaggio di amore e di uguaglianza o si sarebbe messo a stampare un giornale con cui incitare la folla a gridare il nome di Barabba? E allora perché mai bisognerebbe arrogarsi il diritto di utilizzare un simbolo di tutti quando in realtà si rischia solo di emulare chi l'ha condannato a morte su quella croce?
Vuole fare una crociata conto i gay. Va bene, lo faccia! Ma almeno eviti di bestemmiare e di offendere la sensibilità religiosa di migliaia di cristiani lgbt.
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