La Russia accorcia la condanna del neonazista che torturava i gay


Maxim Martsinkevich è il neonazista russo finito alla ribalta delle cronache come uno degli ideatori di una rete finalizzata all'identificazione e alla tortura dei gay russi.
Il modus operandi era sempre lo stesso: le vittime venivano adescate su Internet e gli ultranazionalisti si presentavano in gruppo all'appuntamento armati di una videocamera che documentasse le torture e le umiliazioni che venivano inflitte alle vittime. Lo scopo finale era poi quello di diffondere i vari video realizzati su Internet e ai conosciti della vittima, in modo tale da annullare la loro vita sociale o spingerli al suicidio.
Nel novembre del 2013 alcuni ucraini sporsero denuncia nei suoi confronti e Martsinkevich scappò dalla Russia. Venne arrestato a Cuba a gennaio e condannato a cinque anni di carcere per razzismo. Ma quella che pareva una vicenda archiviata è tornata di attualità dopo che una corte russa ha deciso di rivedere la condanna e di accorciarla di oltre due anni. Secondo i media russi, nella sentenza si sarebbe sostenuto che il suo reato di estremismo non abbia provocato vittime reali.
Pare anche che la corte non abbia ritenuto grave la sua recidività nell'essere stato nuovamente condannato sulla base dell'articolo 282 del codice penale russo (che vieta l'incitamento all'odio e l'umiliazione della dignità umana) e se in passato venne condannato a tre anni e mezzo per aver infranto quella norma attraverso alcune dichiarazioni, ora sconterà una pena minore nonostante alle dichiarazioni si sia aggiunta la violenza fisica nei confronti di centinaia di giovani gay russi.
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