Usa: il dodicenne che sognava di fare il cheerleader si suicida a causa del bullismo
Ronin Shimizu era un dodicenne californiano che aveva una passione: voleva essere cheerleader. La scelta non dovrebbe stupire nessuno dato che da anni ormai decine di gruppi di cheerleader vantano la presenza di ragazzi, spesso utili a dar vita ad acrobazie rese possibili dalla maggior forza fisica. Ma alla Folsom Middle School Ronin era l'unico maschio ad avere quella passione. E tanto era bastato per renderlo vittima di bullismo omofobico da parte dei compagni di classe.
In più occasioni i suoi genitori avevano segnalato il problema ai dirigenti scolastici, ma evidentemente poco o nulla è stato fatto per risolvere il problema o per domandarsi chi avesse inculcato ai bambini l'idea che le cheerleader dovessero necessariamente essere femmine. «La gente lo chiamava gay perché era una cheerleader», raccontano i compagni.
Alla fine Shimizu non ce l'ha fatta e si si è suicidato.
La notizia è subito rimbalzata sulle pagine di cronaca nazionali e i compagni si sono affrettati ad affermare: «Mi si è spezzato il cuore», «Essere cheerleader era un suo diritto», «Lo chiamavano femminuccia, ma lui è sempre andato fiero delle sue passioni», «Sembrava che a lui non importasse delle offese». Ma forse è in quest'ultima frase che è racchiuso il nodo della questione: si osservava in silenzio la situazione e ci si aspettava che fosse lui a dover reagire alle violenze dei suoi carnefici. Eppure spesso l'indifferenza è ancor più dolorosa della violenza stessa...