Avvenire si contraddice pur di attaccare i gay
«Lo Stato è chiamato a contribuire in misura determinante per consentire l'accesso di tutti a terapie sicure e realmente utili». Il metodo «ha sortito qualche effetto positivo su alcuni pazienti senza ancora soddisfare però una lunga serie di requisiti scientifici». «Le cure vere sono un'altra cosa, la sofferenza non merita di essere trattata così». È quanto afferma un editoriale di Avvenire pubblicato nell'aprile del 2013 in merito al metodo Stamina.
Oggi, grazie allo spunto che gli è stato fornito dal convegno pro-sentinelle organizzato da Regione Lombardia, il giornale dei vescovi è in prima fila nel difendere le cosiddette terapie riparative dell'omosessualità. Il messaggio che viene lanciato è che un gay che non vive con serenità la propria omosessualità debba poter scegliere di sottoporsi a pratice prive di fondamento nell'illusione di poter modificare il proprio orientamento sessuale. Non solo avvalorando l'assurda ipotesi che l'orientamento sessuale possa essere variato a piacimento, ma finendo con il suggerire a genitori bigotti l'idea che si possa ricorrere a pratiche in auge decenni fa.
Curioso è come le regole vengano variate a seconda della tesi che si vuol difendere: il metodo Stamina è da vietare perché non ancora provato scientificamente, le terapie riparative sono da promuovere nonostante la scienza le abbia screditate. Allo stesso modo l'autodeterminazione di un gay che vuole sottoporsi a "cure" autolesionistiche deve essere rispetta, quella di un malato terminale che vuole interrompere le proprie sofferenze deve essere vietato per legge.
Ed allora sarebbe bene ricordare ad Avvenire che la scienza ha le idee ben chiare sui danni provocati da quello che loro vorrebbero promuovere:
1991 | Gerald Davison, ex presidente dell'Association for the Advancement of Behavior Therapy, dichiara che la terapia di conversione è eticamente impropria e la sua esistenza conferma solo i pregiudizi sociali e professionali contro l'omosessualità. |
1993 | L'American Academy of Pediatrics pubblica un documento relativo alle linee di condotta dei pediatri intitolato "Omosessualità ed adolescenza" critico ad ogni forma di terapia ripartiva che sarebbero «controindicate, perché possono provocare senso di colpa e ansietà avendo poco o nessun potenziale per realizzare cambiamenti di orientamento». |
1994 | L'APA, American Psychiatric Association rilascia una scheda informativa sulle terapie riparative, sostenendo che «non ci sono pubblicazioni scientifiche a sostegno dell'efficacia di "terapia riparativa" come un trattamento per cambiare l'orientamento sessuale». L'APA pubblica anche un opuscolo intitolato "Risposte alle vostre domande su orientamento sessuale e omosessualità" che ribadisce la condanna alle terapie riparative: «l'omosessualità non è una malattia mentale e non vi è alcuna ragione scientifica per tentare la conversione di lesbiche o omosessuali […] molte delle affermazioni [sulle terapie riparative] provengono da organizzazioni con un punto di vista ideologico sull'omosessualità, piuttosto che da ricercatori di salute mentale, i trattamenti ed i loro risultati non sono ben documentati, e il periodo di tempo che i clienti sono seguiti dopo il trattamento è troppo breve». |
1996 | La National Association of Social Workers (NASW), l'associazione nazionale americana degli assistenti sociali, adotta la seguente linee giuda: «Le terapie di conversione dell'orientamento sessuale presuppongono che l'orientamento omosessuale sia patologico e liberamente scelto. Non sono disponibili dati che dimostrano che le terapie riparative o di conversione siano efficaci, ed in effetti possono essere dannose. […] NASW scoraggia gli assistenti sociali a fornire trattamenti destinati a modificare l'orientamento sessuale o a fare riferimento a programmi o pratiche che pretendono di farlo». |
1997 | L'APA condanna esplicitamente le terapie riparative di Joseph Nicolosi e del Narth con una risoluzione approvata a larga maggioranza: «Considerando che alcuni professionisti della salute mentale sostengono trattamenti di lesbiche, gay, bisessuali basati sulla premessa che l'omosessualità è un disturbo mentale (es., Socarides, Nicolosi, et al, 1997); Considerando che l'etica, l'efficacia, i benefici e il potenziale di danno delle terapie che mirano a ridurre o eliminare l'orientamento sessuale omosessuale sono oggetto di dibattito ampio nella letteratura professionale e dei media popolari (Davison, 1991; Haldeman, 1994; Wall Street Journal, 1997); […] l'APA afferma i seguenti principi in materia di trattamenti modificativi l'orientamento sessuale: che l'omosessualità non è una malattia mentale (American Psychiatric Association, 1973), e che gli psicologi "non partecipano consapevolmente o tollerano ingiuste pratiche discriminatorie». La risoluzione che implicitamente dichiara non etica la terapia ripartiva conclude: «l'American Psychological Association si oppone a rappresentazioni di gay, lesbiche, bisessuali, giovani e adulti, a malati di mente a causa del loro orientamento sessuale e sostiene la diffusione di informazioni precise circa l'orientamento sessuale, e la salute mentale, ed opportuni interventi al fine di contrastare pregiudizi che hanno sede nell'ignoranza o in credenze infondate sull'orientamento sessuale». |
1999 | L'APA, American Psychiatric Association dichiara che «non esiste alcuna evidenza che le cosidette terapie riparative abbiano efficacia nel convertire un orientamento sessuale in un altro» Si sottolinea anche come simili terapie comportino «depressione, ansia, e comportamento autodistruttivo». |
L'American Counseling Association adotta una posizione contraria alla promozione della "terapia riparativa" come una "cura" delle persone omosessuali. | |
2000 | Il consiglio di amministrazione dell'Associazione Nazionale americana degli Assistenti Sociali (NASW) adotta una risoluzione che afferma: «L'aumento delle campagne mediatiche, spesso accoppiato con messaggi coercitive da familiari e membri della comunità, ha creato un ambiente in cui lesbiche e gay sono spesso spinti a cercare terapie riparative o di conversione, che non possono e non cambieranno il loro orientamento sessuale». |
2009 | Il Royal College of Psychiatrists inglese dichiara di condividere «sia le preoccupazioni dell'American Psychiatric Association che dell'American Psychological Association» sulla non scientificità dei contributi terapeuti del Narth e sui pericoli delle terapie riparative su pazienti omoessuali. L'Australian Psychological Society aggiunge: «L'orientamento omosessuale non è una malattia e non vi è alcuna ragione scientifica per tentare la conversione di lesbiche o omosessuali all'eterosessualità. L'Australian Psychological Society riconosce la mancanza di prove scientifiche sull'utilità della terapia di conversione, e sottolinea che possono essere dannose per l'individuo». |
Anche in Italia le posizioni scientifiche non lasciano alcun dubbio. L'8 gennaio 2008 il Presidente dell'Ordine Nazionale Psicologi, Giuseppe Luigi Palma, ha dichiarato: «Lo psicologo non può prestarsi ad alcuna "terapia riparativa" dell'orientamento sessuale di una persona».
Gli ha fatto eco Elvezio Pirfo, referente per l'Albo degli Psicoterapeuti dell'Ordine dei Medici di Torino, che nel febbraio del 2008 ha precisato: «Gli psichiatri non possono curare qualcosa che non ritengono una malattia. Il nostro manuale diagnostico, il DSM 4°, non contiene l'omosessualità tra le malattie. È stata cancellata nel DSM 3, da molti anni ormai. Come può un medico a curare qualcosa che non è una malattia?».
Il 12 maggio del 2010 l'Ordine degli psicologi ha aggiunto: «Qualunque corrente psicoterapeutica mirata a condizionare i propri clienti verso l'eterosessualità o verso l'omosessualità è contraria alla deontologia professionale ed al rispetto dei diritti dei propri pazienti… inoltre le cosiddette "terapie riparative", rivolte a clienti aventi un orientamento omosessuale, rischiano, violando il codice deontologico della professione, di forzare i propri pazienti nella direzione di "cambiare" o reprimere il proprio orientamento sessuale, invece di analizzare la complessità di fattori che lo determinano e favorire la piena accettazione di se stessi».
Tutto questo, ovviamente, funzionerebbe anche se prendessimo per buona la teoria del quotidiano riguardo all'omosessualità come un qualcosa da poter paragonare con una malattia. Se ci basassimo sulle teorie scientifiche che definiscono inequivocabilmente l'omosessualità come una caratteristica naturale (al pari del colore degli occhi o l'essere mancini), il sostegno a Nicolosi equivarrebbe a voler sostenere l'eutanasia di persone sane (in fondo di parla di annientare sé stessi nel nome di un disagio dettato da ideologie inculcate da altri).
In conclusiove va aggiunta un'ultima considerazione: tralasciando quanto già detto, è difficile non notare come il quotidiano cattolico abbia sostenuto che non è accettabile fidarsi della testimonianza dei diretti interessati in assenza di prove scientifiche talmente evidenti da convincere anche i più scettici... ma, scusate, loro non sono preti? Se davvero credessero alle loro parole, allora dovrebbero rimettere in discussione la stessa l'esistenza di Dio sino a quando qualcuno non sarà in grado di dimostrarlo in laboratorio. In fondo, se l'esperienza di milioni di gay deve essere ridiscussa sulla base dello scetticismo di un etero, allora anche i profeti non dovrebbero essere creduti sino a quando ci sarà anche solo un ateo.