L'omosessualità spiegata dagli ospiti di Maroni
Obiettivo Chaire è una delle associazioni che prenderà parte al convegno omofobo patrocinato dalla Regione Lombardia. In seguito alle proteste sulla sua partecipazione, giornali cattolici ed esponenti politici ne hanno immediatamente preso le difese e persino il presidente della regione ha scelto di parlare di una «polemica sul nulla». Peccato proprio nulla sul nulla non sia.
Il pensiero dell'associazione in questione è chiaramente espresso in un libro intitolato "ABC per capire l'omosessualità", pubblicato nel 2005 proprio da Obiettivo Chaire e tutt'ora proposto attraverso il loro sito. Da lì è facile capire molto chiaramente il perché delle proteste dinnanzi ad un ente che avvalora simili realtà. Al contempo quelle pagine possono anche essere un'occasione per osservare come le tesi e gli slogan omofobi non siano cambiate di una sola virgola nell'ultimo decennio.
Ma andiamo con calma. L'opuscolo viene presentato come un'opera di divulgazione scientifica realizzata da una sedicente «equipe multidisciplinare formata da professionisti del campo psicologico, medico, filosofico, pedagogico e da sacerdoti». Peccato che poi non venga proposta alcuna referenza professionale riguardo agli autori.
Cercando su Internet si può scoprire qualcosa di più sul loro conto: Chiara Atzori è una infettivologa che lavora in un ospedale milanese ed è la donna che ha importato in Italia il Narth (ossia il gruppo statunitense fondato da Nicolosi che si occupa di terapie riparative); Jennifer Basso Ricci è una laureata in giurisprudenza; Medua Boioni è parte di una non meglio precisata Confederazione Italiana Centri di Regolazione Naturale Fertilità; Marco Invernizzi è un dipendente di Radio Maria; Giacomo Perego è un biblista; Giancarlo Ricci potrebbe essere (pur senza averne certezza) uno psicoanalista grafomane milanese; Laura Salvetti è un avvocato matrimonialista e Guido Testa si tema possa essere il titolare di uno studio odontotecnico (e a meno che non voglia parlare delle carie dei gay, non si capisce che cosa faccia lì).
Facendo quattro conto appare evidente come nulla paia suggerire una qualche autorevolezza sull'argomento trattato.
Se poi ci si addentra nella lettura dell'opera, capita sovente di incontrare curiose definizioni che appaiono poco compatibili con chi oggi sostiene di non aver mai sostenuto che l'omosessualità sia una malattia. Infatti leggiamo:
L'omosessualità ha le sue radici in un problema dell’identità di genere. Questo [significa che] gli uomini con tendenze omosessuali pensano di non essere all'altezza degli altri uomini, di non poter soddisfare le richieste che vengono fatte a un uomo, di essere sprovvisti di quel pacchetto di virilità che in realtà ogni uomo deve faticosamente costruire.
Un simile discorso li porta a sostenere che:
L'omosessualità è dunque un sintomo; si potrebbe correttamente definire anche ferita, poiché costituisce una lesione alla propria identità di genere. Non è corretto definirla una malattia perché la diagnostica clinica contemporanea ha sostituito il concetto di disordine o disturbo a quello di malattia. Il fatto che l'omosessualità non compaia più nell'elenco dei disturbi dei manuali diagnostici non significa però che essa non costituisca un disordine: il suo depennamento non è avvenuto in seguito a un dibattito scientifico, ma sotto l'azione di gruppi di pressione ideologicamente orientati.
Insomma, non è una malattia ma poi precisano che il termine "malattia" non si usa più ed è l'omosessualità è stata eliminata dall'elenco delle malattie ma solo perché i votanti tutti ideologizzati. Più avanti diconoa nche che ci sarebbe stata pure una presenta partecipazione di delegazioni gay e lesbiche nelle commissioni tecniche dell'Apa, ovviamente sorvolando sul fatto che nel 1957 (ossia undici anni prima rispetto ai fatti citati) Evelyn Hooker già stroncò le ricerche "anti-omosessuali" di quel tempo.
Sulla base delle screditate teorie di Nicolosi, l'opuscolo rimarca più volte che non si nasce gay ma lo si diventa per colpa di fattori esterni. Nel paragrafo dedicato alla pedagogia affermano:
È l'età del "complesso di Edipo" per i maschi e del "complesso di Elettra" per le femmine. Il bambino, ad esempio, "s'innamora" della madre. Se la relazione tra i due genitori è buona, egli si accorge che l'affetto della madre per lui è diverso da quello che la madre prova per il padre. Per conquistare la madre il bambino cercherà allora di assomigliare sempre più al padre. Ciò favorirà l'identificazione affettiva e sessuale col genitore del proprio sesso, e quindi l'accettazione del proprio. Si parla, infatti, di polarizzazione sessuale di identificazione. Perché tutto ciò avvenga in modo corretto occorre, però, che le figure parentali siano positive, equilibrate e abbiano maturato tra loro una buona relazione affettiva, basata sulla reciproca stima e sulla valorizzazione della persona del coniuge. In caso contrario il processo identificativo non si verificherà o si realizzerà in modo parziale o incompleto.
Insomma, un uomo diventa un buon eterosessuale perché vuole portasi a letto la madre e chi non lo fa rimane gay perché incompleto per colpa dei suoi genitori. Ed il concetto di colpa non è certo così marginale dato che spesso e volentieri il testo mostra la volontà di colpevolizzare gli altri o di additare le persone gay che si sono accettate.
Per rilanciare l'idea che tutti siano eterosessuali e che gli omosessuali siano solo persone che non sono riuscite a raggiungere il proprio scopo, aggiungono:
Non esistendo una natura omosessuale, non esiste una omosessualità latente. Si può invece correttamente affermare che le persone con tendenze omosessuali hanno una eterosessualità latente, che per qualche motivo è impedita o ostacolata. Va, infine, precisato che il termine omosessuale non è sinonimo di gay. La parola omosessualità indica una tendenza o inclinazione sessuale, il termine gay indica una identità socio-politica. Non tutte le persone con inclinazione omosessuale si identificano nello stile-di-vita-gay, anzi: la maggioranza di loro non è orgogliosa di tale inclinazione, non considera la propria omosessualità normale e non teorizza il riconoscimento dello stile-di-vita-gay come positivo per sé e per la società.
Nel leggere la seconda parte del paragrafo a qualcuno saranno probabilmente tornate mente le parole pronunciate da Giovanardi nel salotto di Vespa ed attribuite ad un discorso che un Homovox francese che manifestava a sostegno della Manif pour tous. Non vi sbagliate, è proprio così.
Nonostante alcuni concetti vengano proposti come argomenti innovativi ed attuali, tutto è un qualcosa già detto che viene ripetuto a pappagallo sulla base di teorie sorpassate (in questo caso conducibili a Nicolosi). Altresì è triste notare come tutti i gay che manifestano astio verso sé stessi ripetano a memoria i tormentoni di una certa dottrina, quasi a riprova di come siano stati tutti vittima di un lavaggio del cervello finalizzato ad inculcargli quelle idee.
Ma i déjà vu che il libro innesca non finiscono qui. C'è chi oggi contrasta la legge contro l'omofobia definendola «inutile e dannosa» ma quelle non sono altro che le medesime parole scelte nel 1998 dalla Conferenza Episcopale Francese per contrastare l'approvazione dei Pacs. Ed anche in merito al fallito tentativo di introdurre i pacs in Italia, gli slogan e le argomentazioni proposte dall'opuscolo sono gli stessi che oggi ripete il centro-destra e e dai movimenti cattolici:
Le motivazioni addotte per l'introduzione dei PACS in Italia appaiono decisamente pretestuose: in Italia, infatti, sono già presenti diverse leggi che regolamentano adeguatamente le coppie di fatto, ad esempio tutto l'insieme delle norme del diritto privato; la legge 6/2004 per l'assistenza ospedaliera; la possibile costituzione di polizze assicurative o scritture private presso un notaio per le questioni economiche ed ereditarie.
Questo veniva scritto dieci anni fa! Ed è inutile che i giornali ne palino come della nuova mediazione di alfano quando in realtà era già stata la massima discriminante di chi lo ha preceduto.
Molto grave è la presa di posizione in favore dell'assoluzione dell'omofobia sociale (con teorie recentemente riproposte come attuali anche da La Nuova Bussola Quotidiana in un articolo intitolato "Suicidi dei gay, l'omofobia non c'entra") che viene così spiegata:
Questo dimostra che la sofferenza delle persone con tendenze omosessuali non è causata esclusivamente dalla società omofobica, ma soprattutto dall'omosessualità, e dalle cause che hanno portato a questa tendenza
Peccato che un'argomentazione così grave ed importante venga legittimata sulla base di una sola, brevissima frase, risalente al 1963, di Erving Goffman. Parlando della visione che le maggioranze discriminanti hanno delle minoranze colpite da stigma sociale, scrisse:
Percepiamo la reazione difensiva [della persona stigmatizzata] come diretta espressione della sua minorazione e quindi giudichiamo sia il difetto che la reazione come una giusta mercede per qualche cosa che lui, i suoi genitori o la sua tribù hanno fatto. Di qui la giustificazione del modo in cui noi lo trattiamo.
In altre parole, la diversità è la causa stessa del disagio. Peccato che poi ci siano stati sessant'anni di ricerca sociale, psicologica, sociologica e pedagogica che hanno dimostrato più motivatamente il contrario.
Abbiamo già visto come Obiettivo Chaire proponga le screditatissime teorie riparative come una verità ssoluta, precisando che «secondo Nicolosi, in tutta la letteratura psicoanalitica l'omosessualità è motivata come un tentativo di "riparare", di rimediare a una carenza dell'identità maschile».
Peccato che nel 2011 su il Presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi a scagliarsi contro queste terapie: «Affermare che l'omosessualità si "curi" o che l'orientamento sessuale di una persona si debba modificare è non solo scientificamente infondato, ma anche socialmente pericoloso, in quanto alimenta lo stigma e la condanna sociale che, secondo i modelli più accreditati, sarebbe alla base del rifiuto del proprio orientamento omosessuale in molti soggetti; i tentativi di "conversione" dell'orientamento sessuale non solo falliscono, ma sono iatrogeni (cioè dannosi) per il soggetto», tant'è che «gli Psicologi non derogano dal loro codice deontologico, e non si prestano a questi tentativi, condotti molto spesso su base ideologico-religiosa o su modelli scientifici ormai datati». Eppure secondo la Obiettivo Chaire sono solo gli «attivisti gay» a non voler permettere che una persona possa diventare eterosessuale:
Secondo gli attivisti gay, il tentativo di riparare una ferita di tipo omosessuale può essere molto pericoloso: l'esito di questa "violenza" sarebbe il suicidio. Trascurando il fatto che qualunque tipo di terapia porta sempre con sé il pericolo di atti estremi, in quanto lo scopo della terapia è elaborare sofferenze anche molto profonde, è necessario segnalare che nessun paziente di Nicolosi si è mai suicidato in seguito al tentativo terapeutico di riorientamento.
L'affermazione degli attivisti gay secondo cui la terapia riparativa condurrebbe al suicidio e sarebbe una violenza alla natura del paziente va interpretata come un tentativo di terrorismo psicologico. Quale scopo ha questa intimidazione? Ovviamente, scoraggiare gli omosessuali-non-gay dall'intraprendere un cammino riparativo e incoraggiarli ad adeguarsi al programma "terapeutico" previsto dal movimento gay: rassegnazione all'omosessualità, outing (ossia, dichiarare la propria omosessualità) e intraprendere un percorso di terapia affermativa con un duplice scopo: convincersi di avere una "natura omosessuale" e incolpare la "società omofobica" della propria sofferenza.
Poi, sorvolando su come tale atto dovrebbe comportare l'espulsione dall'ordine degli psicologi, aggiungono:
Attualmente in Italia è molto difficile che le persone con tendenze omosessuali abbiano la possibilità di scegliere se intraprendere o meno un percorso riparativo: il monopolio del movimento gay sul mondo omosessuale ha fatto sì che l'unica possibilità disponibile sia la "terapia affermativa". Numerose persone con tendenze omosessuali indesiderate peregrinano da un terapeuta all'altro, continuando a sentirsi dire: «Deve accettare la sua omosessualità, intraprenda uno stile di vita gay e poi si sentirà meglio». Per il momento, sono pochi coloro che sembrano disposti ad accogliere chi non desidera le tendenze omosessuali, considerando lo stile di vita gay in contrasto con i propri principi morali o religiosi. Le uniche possibilità offerte sono lo stile di vita gay o il nascondimento».
Curioso è come non prendano neppure in considerazione l'ovvio, ossia che i gay non amino essere aditati come «contro natura» o «pervertiti» e che possano tenerci a precisare che sono nati così e che non è lecito cercare di propagandare l'idea che la loro sia una carenza o una qualche conseguenza dell'ambiente in cui vivono. Ma forse non lo fanno in virtù di come l'intero libero rimarchi più volte una condanna morale da parte della Chiesa (insomma, infango la tua storia e poi ti dico che puoi uscirne pulito solo se diventi come voglio io, ndr).
Non a caso non arrossiscano di vergogna nel sostenere che «nessuno può invocare come "patologia genetica" l'orientamento omosessuale» (nonostante caso due anni prima della pubblicazione del libro il genetista americano Dean Hamer formulò l'ipotesi che i geni potessero condizionare l'orientamento sessuale e nel 2014 il professor Michael Bailey della Northwestern University di Chicago ha confermato quell'ipotesi, ndr).
Dopo un intero volume dedicato a spiegare che l'omofobia non è una malattia ma gli assomiglia molto, solo su una definizione si presta particolare attenzione a sostenere che sbaglia chi parla di malattia:
i nasconde la mano:
Ciò che viene chiamato "omofobia" non è una malattia, ma un atteggiamento di non condivisione nei confronti dell'ideologia gay e di non approvazione nei confronti dell'omosessualità (che non significa odio o disprezzo nei confronti delle persone con tendenze omosessuali).
Ora, viste le teorie assolutamente datate e ideologiche proposte e constatato come l'Ordine degli Psicologhi abbia segnalato la pericolosità di una loro propaganda, qualcuno vuole ancora sostenere che non si abbia il diritto di protestare se una regione patrocina un loro incontro con il rischio di alimentare lo stigma sociale verso un'intera comunità? Avvenire dice che questo è "famiglifobia", io dico che è istinto di sopravvivenza e piena rivendicazione della mia dignità di persona.