Adinolfi si dice pronto ad uccidere chiunque minacci i suoi affetti (poi torna a minacciare gli affetti altrui)

«Loro uccidono e sono pronti a morire. Per il loro Dio, per la loro battaglia, per la loro strana idea di libertà. Voi per cosa sareste pronti a morire? Per lo smartphone e la tv al plasma non si muore e non si uccide, per la libertà di insultare Dio con le vignette neanche. Certo, stessero per sgozzare Silvia, Clara o Livia, avessi una pistola li ucciderei per salvarle. Morirei per salvare le mie donne. Davvero ormai ci sacrificheremmo solo per i nostri affetti privati, non c'è nessuna bandiera di civiltà o di comune umanità a unirci?». È quanto afferma Mario Adinolfi in un post pubblicato su Facebook.
Il riferimento è all'Isis ed una labile condanna d'ufficio alle loro azioni viene inserita solo nel finale, quando si parla di «mondo dell'orrore che punta addosso a noi le sue credibili minacce». Come nel suo stile, il problema non è ciò che avviene là, ma è la «minaccia» al proprio status quo, forse la stessa «minaccia» che intravede nel riconoscimento dei diritti gay. La soluzione proposta è uccidere. Una legge del taglione in cui non c'è diplomazia, ma una perenne contrapposizione delle parti in cui è necessario essere i primi ad usare la forza per opprimere l'altro.

La parola «uccidere» è una parola forte, ancor più se utilizzata da una persona che si dice pronta a togliere la vita a qualcuno dinnanzi ad una minaccia ai propri affetti. Eppure quella è la stessa persona che ha dedicato la propria vita alla denigrazione, all'offesa e all'attacco gli affetti altrui. Un bel controsenso.
La sua propaganda ideologica mette a repentaglio gli affetti di migliaia di genitori di adolescenti gay che rischiano violenze a causa delle discriminazioni che lui incoraggia, altri non possono tutelare il proprio compagno o la propria compagna perché i suoi adepti lavorano alacremente per impedire il riconoscimento di qualsivoglia diritto civile. Eppure lui dice che ucciderebbe chiunque minacciasse i suoi affetti. Per sua fortuna, gli altri non uccidono ma sopportano i suoi insulti e scendono nelle piazze per rivendicare i propri diritti.
Da quel pulpito lamenta anche come nessuno faccia nulla per gli altri se non per procurarsi i soldi necessari all'acquisto di un qualche bene di consumo. Non è chiaro se si tratti di un'ammissione di colpa o meno, ma evidente è come il riferimento sembri diretto al mondo che lui stesso sta contribuendo a creare. Per ottenere consensi non ha mancato di sottolineare come l'estromissione dei gay dalla pensione di reversibilità porterebbe a guadagni personali: è forse dalla gente che ha attirato con queste promesse che si aspetta dell'altruismo?

Se guardasse fra le fila dei suoi nemici vedrebbe migliaia di persone lgbt che dedicano gratuitamente il proprio tempo nel chiedere l'attuazione di strategia per il contrasto all'omofobia nelle scuole: non dovrebbe sfuggire come tutti loro abbiano da tempo superato l'età scolare e stiano semplicemente dedicano il proprio tempo e le proprie energie per far sì che le nuove generazioni non debbano passare il calvario che loro hanno dovuto vivere a causa di persone come Adinolfi. Allo stesso modo chi chiede il riconoscimento di diritti civili lo fa per tutelare il proprio compagno o compagna nel caso di una sua prematura morte, ma il fatto che in piazza ci siano anche molti eterosessuali che quel diritto ce l'hanno già ma chiedono giustizia sociale per tutti.
E allora di che cosa stiamo palando? Il piagnisteo è perché la sua propaganda d'odio e la sua rivendicazioni di privilegi per sé stesso non stanno portando ai frutti sperati? O forse è invidia nei confronti dell'Isis e delle modalità con cui loro impongono la propria ideologia?
Il dubbio nasce spontaneo nel legge come un'ora dopo abbia aggiunto: «Uccidono e sono pronti a morire perché credono. Non non crediamo in un cazzo». Peccato che quello non sia credere, quello è fanatismo. Ma davvero Adinolfi è ormai così immerso nel suo fanatismo da non riuscire a capire la differenza fra il lottare per un ideale e il volerlo imporre con la forza?
Come si può dire che il califfato sta operando «per il loro Dio» quando in realtà azioni simili non possono essere compiute nel nome di una divinità ma solo attraverso una strumentalizzazione di falsi dei. La stessa falsa idea di Dio che spinge migliaia di cattolici a sperare che la salvezza non richieda un impegno personale ma possa passare dall'oppressione altrui. Ma quale Dio potrebbe mai volere questo?

Forse sarebbe ora di capire che la vera offesa a Dio non è una qualche vignetta satirica, ma è l'uomo che crede di potersi inventare un dio su misura a cui attribuire le motivazioni del proprio odio. Perché il credere che dietro il Califfato non si sia solo sete di potere ma un'ideale, è la vera bestemmia.


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