Come ti spaccio una cattiva scienza per la Verità. Ancora sul caso Sullins


Ci risiamo. Un'altra ricerca scientifica che puzza di cattiva scienza che viene presa per la Verità. Ed è sempre la solita cantilena: i bambini vivono meglio con il loro padre e la loro madre, o come dicono Renzo Puccetti e Giuliano Guzzo, con un papà ed una mamma «old style» (per intenderci, la donna sottomessa al godimento del marito-padrone, Adinolfi docet).
L'ultima dal mondo della ricerca sul benessere dei bambini viene da un certo Donald Paul Sullins, un prete cattolico e sociologo, attualmente Associate Professor del Dipartimento di Sociologia della Catholic University of America (qui il suo Curriculum).
Sullins, recentemente, ha deciso di pubblicare tre articoli scientifici:
  1. Bias in Recruited Sample Research on Children with Same-Sex Parents Using the Strength and Difficulties Questionnaire (SDQ)”
  2. Child Attention-Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD) in Same-Sex Parent Families in the United States: Prevalence and Comorbidities
  3. Emotional Problems among Children with Same-sex Parents: Difference by Definition
I tre scritti sono stati rispettivamente pubblicati su tre diversi “giornali scientifici”: il primo su British Journal of Medicine and Medical Research, il secondo sul Journal of Scientific Research and Reports e il terzo (in realtà ancora da pubblicare) sul British Journal of Education, Society & Behavioural Science. Ed è bene chiarirlo subito: questi giornali non hanno nulla di «British»; sono tutti e tre di proprietà di ScienceDomain International un editore di articoli scientifici dall'apparente inesistenza materiale. tant'è veco che l'editore pare non avere alcun domicilio, oppure pare condivida delle stanze con un magazzino di una catena di negozi che vendono profumi per cani in una località distante dalla città di New York neanche un'ora di auto. Ecco, nulla di «British». Però un'esistenza digitale c'è.

Secondo quelli di ScienceDomain, sulla loro rivista verrebbero pubblicati «OPEN peer-reviewed» e «OPEN access international journals» di diversi settori della scienza, della tecnologia e della medicina. Partiamo da quest'ultimo (basterebbe dire open access, ma qualcuno forse lo vuole sottolineare), che in italiano si traduce con “Accesso aperto”. L'accesso aperto è, prendiamo Wikipedia, «una modalità di pubblicazione del materiale prodotto dalla ricerca, come ad esempio gli articoli scientifici pubblicati in riviste accademiche o atti di conferenze, ma anche capitoli di libri, monografie, o dati sperimentali; che ne consente accesso libero e senza restrizione». Ed è con la diffusione di internet, e quindi con la sempre più presente possibilità per qualsiasi persona di rimediare informazioni nel modo più facile e veloce, che è nato l'open access. Al 2011, secondo la Commissione Europea, il 50% degli articoli scientifici è in open access. Una presenza sempre più consistente e soprattutto un principio del tutto nobile, ma come spesso accade, non è tutto oro quel che luccica. Ci sarebbe infatti «un lato oscuro dell'open access», come disse Steven Goodman al New York Times nel 2013. Stiamo parlando degli “editori predatori”. Sempre in quel numero del New York Times, viene intervistato Jeffrey Beall, un bibliotecario di ricerca della Università del Colorado in Denver, che commenta: «È una start-up dai soldi facili, dal poco lavoro da fare e senza barriere». Beall è un personaggio importante perché ha creato una lista, costantemente aggiornata, di questi “editori predatori” e tra questi c'è anche ScienceDomain. Ma cosa fanno gli “editori predatori”? Sono editori a caccia di soldi facili: chiedono a chi voglia pubblicare un articolo di un certo settore scientifico senza controllare la qualità della ricerca e senza (o quasi inesistente) peer-review, cioè il controllo esterno della ricerca affidato a dei “pari”. In altre parole, l'editore dopo aver ricevuto l'articolo da pubblicare contatta alcuni “scienziati” (che sono dei pari rispetto all'autore dell'articolo) perché decidano se farlo pubblicare o meno e quindi condividere il proprio pensiero sull'argomento della ricerca. Questo è un sistema che può essere closed o, come nel caso di ScienceDomain, open (ad esempio, nel caso di open peer-review sappiamo chi sono i pari, a dispetto del closed peer-review).

Ritorniamo ora ai tre articoli di Sullins e guardiamo chi sono i peer-reviewer. Nel primo articolo i pari sono Friday Okwaraji, docente di psicologia dell'Università della Nigeria ed un anonimo brasiliano (beh non proprio trasparenza). Oltre all'approvazione da parte dell'anonimo del Brasile, che chiede solo di spostare qualche frase di un paragrafo più in giù o di usare nel testo “"we”" o “"I”" al posto dell'impersonale, Sullins può contare sul supporto del docente nigeriano, che finora ha pubblicato alcuni articoli sui pazienti infetti da HIV e sullo “stress fra gli infermieri nigeriani”. Del secondo articolo sappiamo entrambi i nomi: Renata Marques de Oliveira dell'Università di San Paolo, Brasile e Rejani Thudalikunnil Gopalan dell'Institute of Behavioral Sciences, Gujarat Forensic Sciences University, India. Di Marues de Oliveira sappiamo che solo 3 anni fa stava lavorando al master in infermieristica in salute mentale-psichiatria, mentre Rejani T. Gopalan è stata “beccata” a chiedere dei peer-review su un altro giornale di “editori predatori”, l'American Journal of Applied Psychology di proprietà della Science and Education Publishing, un editore che in una settimana ha dato alla luce ben 85 nuovi giornali scientifici (da non confondere l'American Journal of Applied Psychology con il Journal of Applied Psychology dell'American Psychological Association, un «American» in più che fa prendere per invitante pure la spazzatura). Del terzo articolo invece non sappiamo ancora nulla, ma possiamo immaginare che la reputazione dei peer-reviewer non sarà poi così diversa da quella dei primi quattro.

Passiamo ora alla sostanza. Innanzitutto dobbiamo rilevare che, come Mark Regnerus e Loren Marks, anche Sullins è caduto nell'errore di credere che un documento dell'APA (l'American Psychological Association) avrebbe stabilito la mancanza di differenze tra bambini cresciuti da coppie dello stesso sesso e bambini cresciuti da coppie di sesso diverso, quando invece il documento, di dieci anni fa, si limitava a dire che all'allora stato delle cose non erano state riscontrate differenze (vedi “The No-Differences Hypothesis, pag. 329, di questo articolo).
Andiamo oltre, ma lasciamo perdere i primi due articoli per il terzo ed ultimo scritto, visto che quello che Sullins vuole dirci sempre lo stesso, cioè che “il matrimonio tra persone di sesso diverso è un costume sociale che, nel modo più possibile, assicura ai bambini la protezione di entrambi i genitori biologici, con i relativi benefici che porta con sé; il matrimonio tra persone dello stesso sesso l'opposto.” (Emotional Problems among Children with Same-sex Parents: Difference by Definition, pag. 17). Sullins, come nel caso del documento dell'APA del 2005, segue il cattivo esempio di Regnerus nel comparare “le mele con le pere”, cioè da una parte ci sono risultati sconfortanti della salute dei bambini cresciuti da coppie dello stesso sesso e dall'altro quelli dei bambini cresciuti da coppie di sesso diverso, ma una volta questi sono quelli biologici di coppie sposate, un'altra volta sono i figli adottati da genitori di sesso diverso contro quelli di coppie dello stesso sesso, poi quelli dei figli di coppie separate contro quelli dei figli di coppie dello stesso sesso, etc. In altre parole, Sullins non considera che anche le coppie dello stesso sesso possano aver fatto l'esperienza di un divorzio, di una separazione di un adozione, etc. Per concludere potremo chiederci perché un sociologo come Sullins che aveva già pubblicato sulla prestigiosa rivista American Journal of Sociology si sia abbassato alla spazzatura scientifica: fine della carriera o una ricerca pronta per la Corte Suprema? Una risposta su questo quesito non ve la saprei dare, ma certamente ora che dovranno essere depositate le memorie giudiziarie, sicuramente qualche associazione conservatrice impiegherà questi “studi” per imporre la propria visione di famiglia.

Di ExJure
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