L'ossessione di Adinolfi: «Conchita non mi piace, Coruzzi si rifugia nella paccottiglia dell'ideologia gender»
Non è certo una novità che Mario Adinolfi non valga molto come opinionista ed in fin dei conti ben pochi sarebbero riusciti a fallire miseramente in quel ruolo alla corte di Barbara D'urso... ma lui ce la fece e nel 2011 vinse persino un Teleratto in virtù della sua battaglia contro la «dittatura dei magri». Eppure è dalla sua pagina Facebook che non si è trattenuto dal commentare il Festival di Sanremo in un ottica ossessiva-compulsiva volta a vedere ovunque una presunta «dittatura gender».
Alle 21:48 ha aperto le danze scrivendo: «Mi piace la famiglia Anania. Mi piace la canzone di Malika Ayane. Non mi piace Conchita Wurst e la propaganda gender. Oggi vediamo Sanremo, domani no».
Già qui ci sarebbe da ridire dinnanzi ad un uomo che festeggia una famiglia con 16 figli solo perché l'aver procreato come ricci viene giustificato come un intervento dello Spirito santo. E poi sappiamo che la parola «famiglia» gli piace perché se ne vuole appropriare un una logica perversa di colonialismo letterario in cui «pro-vita» assume il significato di persona che cerca di provocare il maggior numero di suicidi possibili, il cui «cristiano» diventa sinonimo di integralista e in cui «la famiglia» è un'immagine usata per chiedere l'esclusione delle famiglie dal diritto civile. Immancabile è anche il suo attacco a Conchita Wurst, già nel mirino di una sua lunga campagna volta a chiedere alla Rai che ai transessuali non sia permesso di lavorare.
Interessante è notare anche come ci si lanci in un giudizio mentre si afferma di non aver alcuna intenzione di ascoltare l'altra parte, quasi come se il pregiudizio fosse considerato una motivazione sufficiente per emettere una sentenza di condanna. Ma la cosa più brutta è come in quell'intera crociata non si sia mai menzionato un qualcosa che la Wurst abbia detto o fatto, quasi come se la si stia condannando a propri per il solo fatto di esistere.
Non pago di quel commento, è alle 23:33 che Adinolfi si è scagliato anche contro Platinette scrivendo: «Mi piacerebbe dire a Mauro Coruzzi che senza trucco e parrucco, è un bellissimo uomo. Suona vero e addolorato. Non si rifugi nella paccottiglia dell'ideologia gender». Poi, da lì a poco, si è auto-commentato per aggiungere: «Ha cantato con dolore. Forse, ragionando, lasciando spazio alla verità rispetto alla maschera».
Insomma, un commento che si commenta da sé. L'unica speranza è che Adinolfi stia fingendo e che non creda a nessuna delle parole che scrive... chissà, magari se la sta ridendo pensando a come ci sia pure chi gli da ragione e lo difende mentre lui è si occupa solo di commerciare libri e giornali che probabilmente nessuno avrebbe mai comprato senza una belle campagna promozionale basata sull'odio omofobico (sia mai che facciano l'ingloriosa fine della rivista in cui i occupava di combattere contro la «dittatura» degli anziani).