Minacce e violenze costringono alla chiusura l'unico gruppo gay dell'Azerbaijan


«Non possiamo rischiare la sicurezza personale dei nostri membri». È questa la motivazione che ha portato alla chiusura di Nefes, l'unico gruppo per i diritti lgbti operante in Azerbaijan.
Lo scorso anno il co-fondatore del gruppo, Isa Shakhmarli, si impiccò con una bandiera arcobaleno nel suo appartamento. «Questo mondo non è abbastanza colorato per i miei colori», scrisse nella sua lettera di addio. Se la sua scomparsa è stata vissuta come una perdita significativa per la comunità, l'evento ha anche contribuito a dare un nuovo slancio ai membri del gruppo.
Gli attivisti (spesso soli perché allontanati dalle proprie famiglie a causa del loro orientamento sessuale) hanno iniziato a lanciare nuove iniziative e campagne, ma ben presto hanno dovuto fare i conti con una serie di incursioni e restrizioni.
A settembre uno dei membri fondatori Nefes è finito al centro di una campagna d'odio nazionale dopo che la stampa ha dedicato ampio spazio alla notizia del suo fidanzamento con un partner dello stesso sesso. Immediate sono giunte le prime minacce e molestie ed i due hanno cercato asilo all'estero prima che le autorità locali gli confiscassero i passaporti.
All'inizio di quest'anno, invece, il sito dell'associazione è stato violato da presunti estremisti religiosi, pronti a pubblicare la scritta «Noi vi uccideremo tutti» al fianco di una bandiera jihadista.
Altri membri del Nefes hanno segnalato una lunga serie di incidenti, tra cui incitamento all'odio, attacchi fisici e perfino la tortura. Da qui la necessità di chiudere le porte dell'unico centro che accoglieva i gay del paese, vittima della violenza di un Paese divorato dall'odio e dell'omofobia.
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