Adinolfi rivendica il suo diritto a giudicare senza essere giudicato
«La sua bambina sia chiamata "bastarda", scrive testualmente un giornale online della galassia lgbt sulla mia piccola Clara. E giù divertenti accuse dense di moralismo sul mio matrimonio a Las Vegas». È quanto scrive sulla sua pagina Facebook Mario Adinolfi.
L'evidente riferimento è ad un articolo pubblicato pubblicato qualche giorno fa, anche se la citazione non è certo così testuale. Un bel taglia e incolla, un estrapolazione dal contesto ed ecco che una frase può essere spacciata per un qualcosa che non è. Forse voleva fare il suo solito vittimismo, forse voleva utilizzare ancora una volta sua figlia come un oggetto di marketing... fatto sta che siamo di fronte all'ennesima manipolazione buttata lì per far credere ciò che non è. Non certo che ci si possa aspettare molto da chi va in giro a sostenere che esista un'«ideologia gender» o chi sostiene che i matrimoni gay siano sinonimo di utero in affitto...
Evidente è anche coma Mario Adinolfi non si faccia problemi ad insultare il Senatore Lo Giudice e i suoi figli, ma sia molto suscettibile se si parla dei suoi affetti. In altre parole, conferma punto per punto il senso dell'articolo: è molto facile pretendersi più di quanto si è disposti a concedere agli altri. È facile potersi costruire la vita che si vuole mentre si vogliono negare i diritti basilari altrui.
Vien da sé che l'articolo in sé non ha mai preso alcuna posizione, ma ha semplicemente mostrato come sia facile ricorrere all'integralismo per attaccare gli altri. Vergognoso è come Adinolfi abbia voluto far credere che il soggetto fosse la figlia, quando in realtà è lui ad aver utilizzato una bambina di quattro anni come scudo per depistare l'attenzione da un discorso che riguardava solo e soltanto lui.
Certo, nel suo messaggio dice anche di non essere spinto da motivazione religiose ma di essere «contrario da cittadino al matrimonio gay», ma una frase simile non appare accettabile da chi ha condotto un intero ciclo di conferenze nel sostenere che le figure di Adamo ed Eva siano da prendere come prova empirica di come sia necessario imporre il sesso di nascita ai ragazzi indipendentemente dal loro genere.
Peccato che il Deuteronomio 23,3 dica chiaramente che «il bastardo non entrerà nella comunità del Signore; nessuno dei suoi, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore». Il termine che Adinolfi vuol spacciare per un insulto non è altro che il termine biblico «mamzer», ossia un figlio illegittimo nato da un rapporto non permesso (come, ad esempio, esterno ad un matrimonio che la Chiesa Cattolica considera indissolubile).
Nel commenti Adinolfi torna a sostenere che «Io non ho avviato nessuna "macchina del fango" contro il senatore Lo Giudice. Ho scritto la pura verità, dichiarata dal senatore Lo Giudice stesso: ha usato l'utero in affitto, non è padre del bambino che chiama figlio, lo ha acquistato negli Stati Uniti. Non sono parole mie, il racconto è di Lo Giudice che si lamentava anche della procedura molto costosa. Io sono contrario all'utero in affitto e ritengo di avere il diritto di dirlo, da cittadino».
Ma se prendiamo per buono quel discorso, gli altri cittadini non avrebbero il medesimo diritto di poter dire di essere contrari ai diritti di una figlia di secondo letto? In fondo è lui ad ostentare l'aver abbandonato al vecchia famiglia per farsene una nuova, così come la sua ostentata carriera da giocatore di poker lo dovrebbero portare a capire che non si può scommettere sulla vita degli altri senza mettere nulla sul piatto.
Lui esige che i figli delle coppie gay siano resi orfani di uno dei due genitori, che siano privati di tutele e diritti nel nome dell Genesi. E allora perché mai non dovremmo poter chiedere la stessa sorte per i suoi affetti attraverso le medesime labili motivazioni?
Appare davvero buffo pensare a come Adinolfi non si sia acconto che il suo commento non è ricolto a pensieri altrui (io di certo non penso quelle tesi, ndr) ma si stia semplicemente scagliando contro il metodo si comunicazione da lui scelto ed utilizzato. Se si reputa lecita una violenza nei confronti altrui e se ci si lamenta nel subire il medesimo trattamento, un problema di fondo pare esserci.
Nelle ore successive Adinolfi ha poi dato vita ad un'escalation di accuse. Parte con lo scrivere: «quel giornale che scrive cinque articoli di insulti a settimana contro me e la mia famiglia, arrivato oggi a questo culmine infame. Ecco, dentro le logiche di questi gruppi lgbt c'è una forma durissima di violenza dall'istinto totalitario che punta all'eliminazione dei cattolici dal contesto pubblico».
Se non è chiaro cosa c'entri Adinolfi con i cattolici (la maggior parte dei cristiani si sentirebbe probabilmente offeso da un simile paragone), altrettanto errato è il sostenere che qualcuno voglia attaccare la sua famiglia dato che l'evidente richiesta è semplicemente quella di non insultare quelle altrui.
Curioso è anche come una singola persona che parla a nome proprio possa magicamente divenire un fantomatico «gruppo lgbt», il tutto al solo fine di poter estendere i propri anatemi anche a chi non c'entra assolutamente nulla (con tanto di accuse di presunti reati che vengono attribuiti a chissà chi). Sulla stessa scia potremmo tranquillamente notare che la Banda della Magliana era composta da eterosessuali che quindi Adinolfi dovrebbe rispondere delle loro gesta... Perché nel magico mondo di Adinolfi sempre lì si finisce: i casi singoli vengono generalizzati all'occorrenza e le generalizzazioni vengono usate per attaccare i casi singoli. Nella sua propaganda Elton John diviene l'esempio del gay medio, i gay con figli non esistono, gli orfani non meritano una famiglia e una singola persona diventa un violentissimo «gruppo lgbt».
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