Secondo Adinolfi, è Papa Francesco a chiedere «una guerriglia» contro i diritti dei gay

Era immaginabile. Le parole pronunciate da Papa Francesco sono state immediatamente strumentalizzate dal mondo dell'integralismo cattolico e vengono oggi sbandierate per sostenere che è nel nome del Papa che i gay non devono avere diritto alla reversibilità (siano piuttosto impiegati a produrre reddito per garantire privilegi ad Adinolfi, poi muovano in povertà senza diritti).

Se il discorso integrale pareva più rivolto a chiedere che la donna sia tenuta a cucinare per il marito, è un articolo apparso su La Croce a rimescolare le carte per asserire che il Papa volesse legittimare il lavoro di Adinolfi. Si sostiene anche che «il motivo stesso per cui l'ideologia gender viene propagandata: annullare la diversità uomo-donna per legittimare matrimonio omosessuale e omogenitorialità, spacciando per irrilevante persino la distinzione tra figura materna e paterna».
La figura del pontefice viene anche più volte strumentalizzata per attribuire a lui le rivendicazioni di Adinolfi, pronto a sostenere che il ddl Cirinnà «dissolve la famiglia perché non la fonda sull'unione tra un uomo e una donna, travolge l’istituto matrimoniale, crea una società meno libera e meno giusta in cui è tollerato persino il ricorso all'utero in affitto, che umilia le donne e rende i bambini oggetti di compravendita».
Inutile è ripetere per l'ennesima volta che il riferimento all'utero in affitto è luna fra le più biche mistificazioni di Adinolfi, pronto ad invocarla in ogni circostanza pur sapendo bene che si tratta di una pratica utilizzata in prevalenza da coppie eterosessuali. Il suo obiettivo è probabilmente quello di far sì che i figli avuti da donne sfruttate per pochi soldi nella Russia di Putin siano riconosciuti in Italia, quelli avuti in eleganti cliniche canadesi da poche coppie gay siano resi orfani (dato che il privare i piccoli dei loro diritti è l'unica conseguenza della sua richiesta).

Adinoldi suggerisce anche un piano per cercare di impedire che la legge possa essere democraticamente approvata:

Entro il 7 maggio si possono presentare emendamenti al ddl Cirinnà, possibilmente migliaia di emendamenti, per affondarlo perché è esattamente quello che Francesco paventa: un falso mito di progresso, un inganno, il falso spacciato per vero. Dopo il 7 maggio si comincia a votare e in poche settimane quel ddl che istituisce il matrimonio gay di fatto può diventare legge. Se l'Italia resiste, può partire un contrattacco in Europa.
Gli intellettuali mobilitino la loro voce, un popolo si alzi in piedi, ce lo chiede il Papa e più di tutto la nostra coscienza. Ma bisogna farlo ora, perché la questione si materializza adesso e gridare dopo che la ferita mortale alla famiglia sarà inferta sarà semplicemente inutile.

A quel punto l'articolo si lancia nel sostenere che i gay siano «il male» e che sia necessario combattere contro i loro diritti:

Occorre avviare una battaglia che non sarà priva di una dimensione conflittuale. Certo, i disertori evitano il conflitto, ma non sono per questo dei buoni o dei valorosi. Non battersi contro il male, non battersi a difesa e sostegno dei soggetti più deboli a partire dai bambini, è ignavia [...] Il 7 maggio è la data ultima per la presentazione degli emendamenti, non sarebbe una buona idea avviare una guerriglia anche nella sede propria, che è quella parlamentare?

È quindi nel nome del Papa che si sostiene che i bambini vengano difesi nel privarli di uno dei genitori, nel togliergli ogni diritto all'eredità e nel lasciarli soli perché agli integralisti cattolici non piacciono i loro genitori. Se questo è un passo in difesa dei bambini...
Ed è sempre nel nome del Papa che si chiede che un gay non possa ricevere assistenza dal proprio compagno in ospedale, che sia privato della reversibilità, che non possa avere ferie se il suo compagno sta morendo... Insomma, si chiede che ai gay non sia concesso di vivere (ritenendo che la vita sia un privilegio dei soli eterosessuali) sfruttando il nome dei bambini al solo fine di trovare una giustificazione di ciò che è riconducibile solo a pregiudizi e voglia di sentirsi migliori attraverso la discriminazione altrui.


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