Interviste -

Dario Accolla, la storia di un professore gay

Essere un docente apertamente omosessuale in Italia non è facile. Per questo motivo il Comitato Verona Pride ha voluto diffondere e raccontare la storia di Dario, un professore gay. L'intervista, curata da Alessandro Pinarello , ci porta a capire quanto sia importante parlare di educazione alle differenze e combattere i pregiudizi omofobici nelle scuole.

Ci racconti chi sei e di cosa ti occupi?
Ciao, sono in primo luogo un attivista lgbt. Ho sposato, nel 1997, la causa dei diritti della gay community perché credo che una società più giusta debba accogliere le legittime richieste di tutte le sue parti.
Noi, in quanto membri attivi di una comunità, abbiamo una serie di doveri: pagare le tasse, contribuire col nostro lavoro al benessere collettivo, ecc. Non abbiamo però gli stessi diritti, come sposarci o avere una famiglia, anche con prole. Trovo questo profondamente ingiusto e lotto, con gli strumenti che mi ritrovo, per cambiare le cose. Poi mi piace scrivere.
Ho cominciato come blogger sul mio sito e sono stato accolto su Il Fatto Quotidiano, su Pride, su Gay.it e su ItaliaLaica.
Ho anche pubblicato quattro libri, tra saggistica e narrativa.

La tua ultima fatica letteraria, "Omofobia, bullismo e linguaggio giovanile", indaga ed esplora il delicato tema del bullismo omofobico. Com'è nata in te l'idea di incentrare sull'omofobia e sul linguaggio giovanile la tua ricerca?
Coniugare gli studi di genere alla ricerca linguistica è sempre stato un mio pallino. In Italia siamo ancora in ritardo rispetto a questo tipo di interdisciplinarità. Basti pensare ai cattolici integralisti, che usano il termine gender in chiave dispregiativa, per indicare studi di altissimo profilo culturale e accademico.
Ho provato a dare il mio contributo nel volumetto edito da Villaggio Maori, una coraggiosa casa editrice di Catania che si occupa di questione femminile e di queer theory.
Francesca Calà, la mia editor, mi ha contattato e mi ha proposto di curare questo tema. Penso, e credo di averlo dimostrato, come la prima forma di violenza contro gay, lesbiche e trans, sia soprattutto linguistica. E ciò avviene a vari livelli: attraverso le chiacchiere di corridoio, gli insulti manifesti, le forme di disprezzo che si consumano on line, ecc.
Nel mio libro faccio una panoramica di questi fenomeni, evidenziando come l'uso della lingua possa essere, allo stesso tempo, veicolo di bullismo omofobico e processo di costruzione negativa del diverso. Intervenendo su tale dimensione, possiamo depotenziare l'omofobia giovanile e, più in generale, i pregiudizi su scala globale.

Tu, correggimi se sbaglio, sei anche docente nella scuola di secondo grado. Ti capita spesso di affrontare questi argomenti con i tuoi allievi? E con i tuoi colleghi insegnanti?
Non sbagli. Premetto che sono dichiarato sul posto di lavoro. Superiori, colleghi/e, famiglie e allievi/e sanno di me. Non entro in aula presentandomi e dicendo «sono gay», ma non lo nascondo. Tempo fa mi è capitato l'episodio di un ragazzo che veniva bullizzato per presunta omosessualità. Respirai profondamente e dissi: «Non si prende in giro il vostro compagno. Se fosse gay, gli manchereste di rispetto. Se non lo fosse, più in generale offendereste chi è gay. E offendereste anche me». Ne è nato un dibattito, adesso nelle mie classi si parla di parità di genere e c'è un rapporto più solido tra me, allievi/e e le loro famiglie.

Ora raccontaci: quando hai partecipato per la prima volta a un Pride? Che emozioni hai provato?
Era il 2000. Fu il mio primo Pride, a Catania. Contribuii a organizzarlo, come semplice volontario. Fu una festa meravigliosa, la città ci guardò all'inizio con stupore, poi ci accolse con applausi e sorrisi. Mi sono sentito, in quel lontano giorno di luglio, al centro di una narrazione collettiva che abbatteva i pregiudizi e costruiva una nuova idea di umanità. Ero abituato a vivere l'omosessualità come condizione privata. Da quel momento compresi che si deve essere se stessi ovunque, dentro e fuori casa, al bar come al lavoro. Negare questo significa vivere a metà. E non possiamo permettercelo.

Ti ringraziamo per aver condiviso con noi la tua esperienza e cogliamo l'occasione per invitarti ufficialmente al Verona Pride 2015, il 6 Giugno a Verona!
Vi ringrazio per l'invito! Ovviamente auguro all'organizzazione dell'evento un grandioso successo. E spero che Verona scenda in piazza per ballare, sorridere e festeggiare la gioia di essere se stessi/e in nome dell'uguaglianza. Di quella nuova idea di umanità che dovrebbe accogliere chiunque e abbattere steccati e incomprensioni di qualsiasi natura.


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