Massimo Gandolfini su La Croce: l'omosessualità non è normale e i gay sono dei malati mentali


Non pago delle polemiche suscitate dal suo sostenere che i gay si suicidino perché gay e non perché vittime di discriminazioni, è dalle pagine del quotidiano di Mario Adinolfi che Massimo Gandolfini (neurochirurgia alla fondazione Poliambulanza di Brescia e presidente lombardo dell'Associazione Medici Cattolici) si è lanciato in affermazioni criminali ed inaccettabili.
In un articolo intitolato "Così spariscono le malattie", l'uomo ha cercato di convincere i lettori de La Croce che l'omosessualità sia una malattia. Si è persino spinto a sostenere che Galileo, Fermi, Sabin ed Eccles la considererebbero tale perché «veri scienziati» e non psicologi iscritti all'APA. Immancabile è stato anche il vergognoso tentativo di accomunare l'omosessualità alla pedofilia, sostenendo che le modalità con cui l'omosessualità sia stata eliminata dall'elenco delle malattie psichiatriche sia simile a quella con cui sostiene che la pedofilia praticata vada distinta da quella non consumata.

L'articolo si apre lamentando che «è ormai socialmente inaccettabile sostenere l'opinione per cui l'omosessualità sarebbe una malattia e si viene a malapena tollerati se si dichiara di considerarla una anomalia. Ci si appella alle derubricazioni dell'OMS ma, a ben vedere, nessuno studio la suffragò. E ora "scompare" la pedofilia».

Ed ancora:

«Negli ultimi quarant'anni abbiamo assistito al "mainstream" della normalizzazione: ogni condotta -in quanto frutto della libera scelta- deve trovare cittadinanza nella società civile e, perché ciò accada, il passaggio socioculturale obbligatorio è la "normalizzazione". Lo strumento di questa strategia è la manipolazione del linguaggio [...] un esempio da manuale di questa strategia è quanto accaduto con la modifica del DSM, manuale di diagnostica e statistica psichiatrica. Il DSM venne stilato ad opera dell'APA che riunisce un grande numero -ma non tutti- di psichiatri americani. Nel 1952 (DSM I) l'omosessualità era classificata nella categoria "disturbi sociopatici di personalità", quindi una vera e propria psicosi. Nel 1968 (DSM II) si compie una prima modifica, restringendo il campo alla sola condotta sessuale, definendola come "deviazione" rispetto alla normale condotta.
Il 1973 è l'anno della svolta. Sotto forte pressione del movimento gay, viene indetto un referendum (per via postale) fra gli psichiatri americani iscritti all'APA, chiedendo che si esprimessero sull'affermazione che l'omosessualità fosse " a normal, a natural and healthy variant of human sexual expression".
Iscritti con diritto di voto 17.029, votanti effettivi 10.091 (59%). Favorevoli 5854, contrari 2810, astenuti 427: a maggioranza semplice è così passata l'opzione di derubricare l'omosessualità dal novero della "malattie".

Si sostiene anche che:

In Italia, il Trattato di Psichiatria (Cassano D'Enrico, Pancheri; Masson) afferma: "la rilevante associazione fra omosessualità e disturbi psichiatrici, soprattutto di tipo psicotico, ci ha convinto che l'omosessualità rappresenti ancora una condizione patologica degna di trattamento"

Romanzata la storia ed omessi tutti gli studi degli ultimi vent'anni (una prassi che se trasportata nella sua professione lo dovrebbe vedere operare con l'elettroshock anziché con i moderni metodi chirurgici), Gandolfini conclude:

Leggendo questa storia nasce spontanea una domanda: "Quale scoperta scientifica ha provocato questo radicale cambiamento si opinione nella maggioranza relativa degli psichiatri dell'APA? Nel 1972 quale rivoluzionaria scoperta ha obbligato a ravvedere le originarie posizioni (disturbo sociopatico di personalità), consentendo di classificare l'omosessualità come una naturale variante dell'umana espressione sessuale?
La risposta è di una semplicità lapidaria: nessuna!
nessuna evidenza scientifica. nessuna scoperta biologica, nessuna acquisizione genetica. Solo una scelta arbitraria, ideologica, assiomatica, sull'onda del "Politicamente corretto", priva di qualsiasi supporto che abbia i requisiti minimi di scientificità.
A ciò si aggiunga che non è per nulla rappresentativo del pensiero né degli psichiatri di tutto il mondo, né di tutti gli pischiatri americani, ma solo del 59% degli psichiatri iscritti all'APA.

Una tesi simile venne già sostenuta lo scorso anno dall'avvocato Giancarlo Cerrelli e vide l'intervento del presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine degli psicologi, Giuseppe Luigi Palma, pronto a ricordare come quanto sostenuto fosse una «informazione scientificamente priva di fondamento e portatrice di un pericoloso sostegno al pregiudizio sociale ancora così fortemente radicato nella nostra società, come dimostrano, purtroppo, i sempre più diffusi fatti di cronaca».
8 commenti