Gli omofobi usano i Navajo per attaccare i gay (ma cadono in errore)


Non è sempre facile comprendere il senso degli articoli pubblicati da La Nuova bussola Quotidiana, soprattutto quando c'è un tale impeto nel cercare di risultare offensivi verso i gay da portare a continue digressioni e cambi di discorsi. È questo il caso di un articolo di Marco Respinti, nel quale pare si voglia parlare di indiani anche se non si perde occasione per affermare che la democratica sentenza emessa dalla Corte Suprema statunitense sia stata «sentenza-golpe», che i diritti costituzionali siano una «imposizione» o che i matrimoni fra persone dello stesso sesso non meritino sufficiente rispetto da poter essere citati senza l'uso di violette che tentino di risultare dispregiativi verso termini assolutamente propri. Allo stesso modo non è neppure chiaro perché si citino le discutibili teorie di Introvigne sulla fantomatica «ideologia gender», eppure l'articolo si apre sostenendo che «la teoria del gender nasce e si sviluppa in ambienti razzisti mentre i suoi sostenitori accusano di razzismo gli avversari».

Solo sopo una lunga serie di digressioni e di inutili insulti si giunge al tema centrale, ossia il sostenere che «gli indiani veri sono nemici dell'omosessualismo» (da notare è come l'omosessualità venga definita con termini dispregiativi forgiato dall'estrema destra nazionale). L'articolo afferma che «la questione sta nel fatto che le leggi di due delle più vaste tribù d’indiani nordamericani, i Navajo e i Cherokee, ovvero circa 600mila persone, proibiscono le "nozze" gay» (sempre scritte tra violette giusto per offendere) e ci si dilunga nello spiegare che le tribù indiane potranno ignorare la sentenza della Corte Suprema in virtù dell'autonomia legislativa a loro concessa. Si ironizza persino nel sostenere che «Negli Stati Uniti qualcuno si sta già domandando se ci sarà mai qualche Gay Pride di provocazione nei pressi delle riserve indiane giusto per vedere cosa ne pensano i pennuti Cheyenne del Montana o i nerboruti Cherokee che già andarono volontari con l'esercito "sudista"».
L'impressione è che si voglia sostenere che gli indiani siano persone generalmente considerate vicini alla natura che i loro divieti ai matrimoni gay rendano lecito poter scrivere articoli in cui si sostiene che «l'omosessualità non è né innata né naturale».

Peccato che una tesi simile non sarebbe altro che una mistificazione. Va infatti ricordato come fu l'uomo bianco a ad insegnare loro l'omofobia agli indiani, uccidendo una cultura in cui avere figli gay o transessuali erano visto addirittura come una fortuna.
Da sempre gli indiani ritenevano che ognuno potesse seguire la propria sessualità come meglio credeva: gli uomini potevano diventare cacciatori e guerrieri, così come potevano tranquillamente decidere di vestire abiti femminili e di restare al villaggio per sbrigare le faccende domestiche. Questo, perlomeno, fino all'arrivo degli inglesi che riservarono particolare ferocia all'attacco dei berdache (termine con cui chiamavano i gay e le lesbiche indiane). Nel tentativo di difendersi, gay e lesbiche iniziarono a cercare di celare il proprio orientamento sessuale agli aggressori. Negli anni successivi fu invece la Chiesa Cattolica europea ad occuparsi di convincere i nativi che l'omosessualità dovesse essere vista come un male ed una vergogna.

Interessante è anche come La Nuova Bussola Quotidiana abbia scelto di citare i Navajo, un popolo che sino al 2005 ha tranquillamente continuato a celebrare matrimoni fra persone dello stesso sesso. Il divieto a cui l'articolo fa riferimento giunse solo dieci anni fa, quando gli Stati Uniti approvarono il Defense of Marriage Act (Doma) che venne poi declinato dai Navajo nel loro Diné Marriage Act.
Per secoli la loro tribù ha vantato una lunga e documentata storia di apertura ad ogni genere ed identità. Ad esempio l'immagine di apertura è stata realizzata a Fort Sumner (Nuovo Messico) nel 1866 ed i due uomini ritratti sono stati presentati come partner in una serie di pubblicazioni.
Nel 1930 si ha anche la testimonianza di un uomo che decise di abbandonare gli abiti femminili in seguito alla derisione e al bullismo di alcuni bambini della tribù (che proprio in quegli anni vennero costretti dagli Stati Uniti a frequentare scuole esterne alle riserve). Ulteriore indizio di come fu l'uomo bianco a portare l'omofobia nelle riserve indiane.

Imbarazzante è come La Nuova bussola Quotidiana (e tutte le realtà che si sono affrettate a condividere quell'articolo Sentinelle in piedi ai Giuristi per la vita) raccontino questa storia anche se ciò dimostra solo come l'omofobia possa risultare capace di annientare la cultura di interi popoli nel nome del pregiudizio.
Anzi, i Giuristi per la vita si spingono nel sostenere che «i nativi americani da sempre sono a contatto con la natura e conoscono le sue leggi», motivo che sottolinea come ad infrangerle sia proprio la loro propaganda.
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