I cattolici auspicano una nuova apartheid?
L'apartheid non è quella caricatura sotto la quale lo si rappresenta. Ma al contrario, esso significa per i non-Bianchi una ampia indipendenza, poiché abitua a contare su loro stessi e a sviluppare la loro dignità personale. L'apartheid offre loro, allo stesso tempo, una maggiore possibilità di svilupparsi liberamente, conformemente al loro carattere e alle loro capacità [...] Per le due razze, ciò significa mutue relazioni pacifiche e la cooperazione in vista della prosperità comune. Il governo si impegnerà, con risolutezza e determinazione, a portare alla realizzazione di questo felice stato di cose.
È quanto nel giugno del 1948 Daniel François Malan, uno degli ideologi della segregazione razziale in Sudafrica. L'intera ideologia si basava sull'idea che due popoli non potessero e coabitare e che fosse necessario difendersi dalla minaccia rappresentata dall'altro. Si sosteneva che la cultura occidentale andasse difesa dalla contaminazione e che «i boeri fossero stati inviati da Dio a guidare i neri d'Africa, per mostrare loro la luce della civiltà cristiana».
I bianchi volevano mantenere il potere sui beni sociali e si considerava una razza superiore rispetto al nero. Si sentivano i detentori della verità e la motivavano attraverso la Bibbia. Nel 1947 il teologo JH Kritzinger scrisse «La Scrittura insegna che Dio ha voluto l'apartheid e noi, come cristiani, non possono che metterla in atto». Ma più pragmaticamente il tutto finiva solo con il garantire potere politico e il pieno predominio dei bianchi.
Furono numerosi i sacerdoti afrikaner pronti a sostenere che Dio avesse separato le razze nelle torre di Babele e che l'uomo non avesse il diritto di mescolarle. Quando il Partito Nazionale introdusse le prime norme di segregazione, il Consiglio delle Chiese del Sud Africa si affrettò a sostenere che quelle leggi «non sono nate solo in base alle circostanze, ma hanno il loro fondamento nella Sacra Scrittura».
Si citava la dottrina della Chiesa nell'affermare che è eterno, infinito, saggio e giusto e il Creatore dell'universo. Si diceva che avesse progettato la vita e il destino di ogni individuo sulla terra e che i "prescelti" sarebbero stati salvati solo a condizione che aderissero agli insegnamenti della Chiesa. I dirigenti della Chiesa tesero ad essere più impegnati nell'apartheid rispetto ai loro seguaci.
Solo nel 1998 la Chiesa riconobbe l'apartheid come «sbagliata e peccaminosa». Per quella presa di coscienza ci vollero cinquant'anni.
Eppure dinnanzi a quanto sta avvenendo oggi in Italia in merito al riconoscimento dei diritti delle minoranza, appare difficile non trovare similitudini. Ci sono cardinali che sostengono che sia stato Dio decidere che la famiglia dovesse essere solo eterosessuale, ci sono giornali cattolici che mettono in dubbio la naturalità e le capacità fisiche dei gay, ci sono persone che organizzano convegni finalizzati a creare paura. Ma soprattutto c'è una piazza che si è radunata per sostenere che esista un «noi» e un «loro» e che le due realtà non possano convivere. Hanno sbraitato che vogliono «difendere i loro figli» dall'esistenza dell'altro e, seppur con barriere invisibili, hanno eretto un muro che ha tutta l'aria di quello spazio vuoto che c'era fra bianchi e neri nelle chiese sudafricane.
Sostenere una presunta superiorità dell'eterosessualità rispetto all'omosessualità non è diverso dal sostenere che il colore della pelle possa far differenza. così come il pretendere che alcuni termini restino riservati ad un gruppo è un modo per creare esclusione.
Lo ha ben spiegato Costanza Miriano quando ha dichiarato che intende separarsi se il matrimonio non sarà più un privilegio, dato che a lei non interessa un qualcosa che non sia precluso agli altri.
E a creare un parallelismo fra i due concetti è anche l'arcivescovo Desmond Tutu che, in virtù della discriminazione subita in prima persona, ravvisa come «L'omofobia è una forma di apartheid. Com'è possibile lottare contro il razzismo e non contro l'omofobia?». Ed ancora: «Noi abbiamo lottato contro l'apartheid perché soffrivamo e venivamo maledetti per qualcosa riguardo alla quale non potevamo farci niente. È lo stesso per l'omosessualità. L'orientamento è qualcosa che è in noi, non una questione di scelte. Sarebbe folle per qualcuno lo scegliere di essere gay, considerando l'omofobia che esiste».