Le bufale di Tempi
Il settimanale Tempi appare ormai ossessionato dalla sentenza statunitense che ha introdotto il matrimonio egualitario nel Paese, motivo per cui non possa giorno senza che i suoi redattori cerchino di delegittimarla. L'ultima trovata è un articolo intitolato "Critica razionale alla sentenza della Corte Suprema sulle nozze gay" nel quale si sostiene la necessità di «ricordare la differenza di concezione del matrimonio tra i Paesi anglosassoni, detti di common law, e gli altri come l’Italia, detti di civil law». A loro dire «nei primi il matrimonio è considerato a tutti gli effetti un contratto, cioè come uno scambio di patrimonio e ricchezza, averi e beni. Altrove, come in Italia, invece, a causa della consolidata cultura giuridica e filosofica antica di secoli, si è ben consapevoli che il matrimonio non è un contratto poiché non c'è scambio di ricchezze, ma una convenzione, poiché gli sposi convengono di sposarsi, cioè fanno convergere le proprie libere volontà senza alcuna influenza di carattere patrimoniale».
Apprendiamo così che la reversibilità, l'eredita e tutti gli altri diritti riservati alle coppie sposate non debbano essere considerati a carattere patrimoniale. Eppure Tempi sostiene che «una simile differenza è fondamentale per comprendere perché nella cultura giuridica anglosassone il matrimonio sia considerato in continua evoluzione, parimenti a qualunque contratto di natura patrimoniale, mentre altrove, come in Italia, invece no o comunque entro certi limiti».
Dopo una lunga serie di fattori ideologici che poco paiono aver a che fare con le leggi citati, il settimanale con manca di sentenziare: «Ecco perché, almeno in Italia, si considera l'unione tra donna e uomo quale unione naturale che dà vita alla famiglia intesa appunto come società naturale». Curiosamente, però, né la legge italiana né la Corte Costituzionale hanno mai ravviato quella definizione.
Da segnalare è anche il motivo per cui si sostiene che «l'amore non è un elemento sufficiente per ritenere legittimo, lecito o giusto un istituto giuridico, un rapporto, o un legame, specialmente se con l'amore si intende qualunque tipo di relazione umana prescindendo dall'ordine naturale o morale. Ecco perché Dante rinchiude nelle atroci segrete del suo quinto canto dell’inferno Paolo e Francesca. I due senza dubbio si amavano, ma il loro amore era, in quanto cognati, un amore non giusto, in violazione della legge umana e divina, fraudolento rispetto all'ordine della natura e alla natura delle relazioni, alla relazione di coniugio di Francesca con il marito Gianciotto e di consanguineità di quest’ultimo con Paolo». In altre parole, la legge italiana dovrebbe basarsi su Dante e su una versione ideologica di cosa sia naturale e cosa non lo sia (e di certo l'omosessualità è naturale, l'odio di certi settimanali un po' meno).
Ma a farci capire perché Tempi dovrebbe evitare di trattare temi giuridici è un altri articolo, nel quale il settimanale si è lanciato nelle sue solite testimonianze-bufale. Dato che non esiste una sola ricerca scientifica che ritenga l'omogenitorialità svantaggiosa rispetto ad una famiglia eterosessuale, Tempi è solito cercare di ricorrere ai racconti di persone che odiano i propri genitori e che attribuiscano alla loro sessualità la colpa del loro risentimento (un po' come se raccontassimo la storia di un ragazzo che odia i genitori per sostenere che gli etero non debbano avere figli). Nel raccontare per l'ennesima volta la storia di Dawn Stefanowicz (nella foto), l'articolo torni per l'ennesima volta a sostenere che sei persone, cresciute da genitori omosessuali, avrebbero parlato dinanzi alla Corte Suprema americana delle loro storie. Peccato che sia impossibile dato che la Corte non accetta testimonianze, ascolta solo le argomentazioni degli avvocati. In realtà le sei persone si sono limitate a scrivere ai giudici un amicus brief, cioè una memoria che poi i giudici avrebbero letto.
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