Videoreporter ungherese prende a calci i profughi siriani (bambini compresi)
È difficile rimanere impassibili dinnanzi ad immagine che ci mostrano sino a dove possa spingersi il razzismo. Alcuni migranti, frustrati dalla la mancanza di assistenza da parte del governo ungherese, hanno rotto i cordoni della polizia e sono fuggiti dal campo di Roezske, al confine tra Serbia e Ungheria.
Petra Laszlo, videoreporter dell'emittente nazionalista N1TV (legata al partito neo-nazista Jobbik), non si è limitata a filmare la scena come i suoi colleghi, ma è intervenuta per fermarli. le immagini ce la mostrano mentre fa cadere un uomo che portava in braccio un bambino, poi ha iniziato a prendere a calci due migranti adolescenti che si erano appena divincolati dal blocco degli agenti ungheresi.
Quell'odio ha indignato l'opinione pubblica e l'emittente ha provveduto a licenziare la giornalista. Ma questo non è che l'iceberg di un problema che pare non si voglia affrontare, dato che se una donna è disposta compiere atti simili è perché c'è qualcuno che ha permesso il diffondersi di paura immotivata e proclami omofobi che la devono aver spinta a ritenere che un bambino i sette anni potesse essere una minaccia.
Forse chi oggi si dice indignato dinnanzi a simili scene è forse lo stesso che applaude ai comizi di Amato o che incoraggia le generazioni razziste della Meloni. Magari va anche in giro che la proprganda dell'odio sia un diritto di opinione, anche se difficilmente si potranno avere epiloghi diversi da quanto si è già visto in epoca nazista (dove la vita altrui era considerato un prezzo più che accettabile per non sentire minacciato il proprio status quo).
Non è forse un caso se l'emittente ha dichiarato che ritiene ora chiuso il caso, anche se il suo palinsesto è ancora ricolmo dei discorsi razzisti pronunciati da Gábor Vona, leader del Jobbik. Si punisce così l'esecutore, mentre il mandante viene ritenuto libero di proseguire la propria azione.
Su Internet hanno iniziato a circolare anche le prime informazioni sulle vittime. L'uomo si chiama Osama Abdul Mohsen ed ha abbandonato la sua vita ad Deir Ezzor (dove era allenatore di una squadra di calcio) per tentare di garantire un futuro al figlio, il piccolo Zaid di 7 anni. nelle mani dell'Isis ha dovuto lasciare la moglie e l'altro figlio, malato e quindi impossibilitato ad intraprendere un simile viaggio.
Dato che non si è dinnanzi ad un immigrato che scappa dalla fame (la cui vita può facilmente essere cancellata dalla propaganda), nel caso di rifugiati non è difficile poter raccogliere informazioni su quella che era la loro vita prima di trovarsi a dover scappare dalla guerra. Ed è così che Ezzor aveva anche un profilo Facebook, nel quale ci sono evidenti tracce di come la sua vita e la vita del figlio apparissero felici e spensierate (qui e qui alcuni esempi). È difficile non avere un colpo al cuore nel confrontare il viso sorridente di quelle fotografie con il il volto impaurito del piccolo dinnanzi alla carica della polizia. Tanto dovrebbe bastare per capire che siano stati costretti ad andarsene e che forse avrebbero anche preferito poter proseguire nella loro vita di sempre. Ma ad attenderli c'è chi li percepisce come una minaccia, chi non vuole che quei bambini siano difesi.
E per chiunque dovesse pensare che in fondo l'Ungheria è lontana e che da noi non c'è (ancora) il neonazismo al potere, a destare preoccupazione dovrebbe essere il constatare come ci sia chi strumentalizza alcune fotografie per alimentare odio nei confronti dei profughi. Li si mostra mentre si scattano dei selfie e si fa apparire quel semplice gesto come un qualcosa di chi è venuto in Italia a portarci via qualcosa. Ma, come abbiamo visto, nessuno ha mai detto che chi fugge dalla guerra debba necessariamente essere povero e c'è da domandarsi quante delle persone che hanno cliccato "mi piace" a quella frase non si scatterebbero una foto una volta giunti alla meta dopo un viaggio che li avesse costretti a mettere a repentaglio la loro stessa vita. Ma fino a quando non avremo anche in Italia chi documenterà una donna che fa lo sgambetto ad un bambino, forse c'è chi continuerà a far finta di non vedere.
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