Secondo ProVita, i figli crescono meglio se i padri non si depilano

Sul sito dell'associazione ProVita Onlus ci sono ben 672 articoli dedicati al «gender», 201 all'«omosessualimo» e 101 a Gianfranco Amato. Si aggiungono poi anche i 26 articoli associati all'etichetta «eterofobia» e i 12 presentati sotto la dicitura «gaystapo». Il tag «gay» è invece associato a 201 articoli, inaugurato solamente il 6 febbraio 2014 quando Letta dichiarò che l'Italia era contraria alle discriminazioni nei confronti dei gay. Dinnanzi a quell'affermazione l'associazione lamentò: «Ma come può parlare a nome di tutti i cittadini italiani?».
Da lì in poi la loro redazione si è occupata senza sosta di gay, cercando di spiegare perché reputano non siano ritenuti meritevoli di essere una famiglia o di percepire la pensione di reversibilità. Dinnanzi ha chi ha dedicato gli ultimi anni della propria vita ad occuparsi quasi esclusivamente del tema, dovremmo aspettarci grandi motivazioni filosofiche a sostegno, motivo per cui proveremo a dotaci di tanta tanta buona fede nell'ascoltare le motivazioni per cui il 10% della popolazione dovrebbe avere meno diritti del restante 90%. Apriamo dunque il loro sito e leggiamo assieme un articolo intitolato "Gender – La giornata internazionale dell’uomo". Dicono:

In pochi lo sanno, in tempo di gender, ma il 19 novembre ricorre la “Giornata internazionale dell’uomo“, secondo una tradizione iniziata nel 1999 (ma arrivata in Italia solamente nel 2013: si sa, siamo arretrati…).

Si passa così ad elogiare l'inglese Philip Davies, un conservatore che ha presentato una mozione volta a chiedere che il 19 novembri diventi il nuovo 8 marzo e che, nello spirito della "gender equality", ci si occupi di suicidi maschili, diritto alla paternità, aspettativa di vita, violenze domestiche ed omicidi.
Fin qui non c'è nulla di particolarmente strano, ma è a quel punto che l'articolo introduce una svolta:

Eppure in tempo di gender questa festa può essere letta in maniera positiva soprattutto per due motivi.
Da un lato non possiamo che rallegrarci del fatto che, in barba all’imperversare ideologico, in maniera indiretta essa riafferma il fatto che esistono due sessi e che le persone, dunque, o appartengono alla metà del mondo XX, oppure alla metà XY.
Questo, di conseguenza, ci dice anche che i fautori del gender in fondo sono destinati a perdere. La ragione –per quanto obnubilata possa apparire nel contesto odierno– prima o poi prende sempre il sopravvento.

Insomma, la tesi è che se c'è una festa dell'uomo e una festa della donna, allora vuol necessariamente dire che il dato biologico deve vincere sull'identità di genere. Già, peccato che il 20 settembre sia il Transgender Day of Remembrance e che quindi, se a detter legeg solo gli eventi internazionali, nel dualismo maschio e femmina dovremmo inserire anche i tans (e magari pure l'uovo sodo, dato che c'è persino una festa a lui dedicata).

Ma è a quel punto che l'articolo si lancia in un incredibile affondo, asserendo:

Il secondo aspetto da sottolineare di questa festa è che, nell’intento con cui è stata istituita, contribuisce a valorizzare gli uomini. Il che, di questi tempi, non è una brutta trovata. È infatti sotto gli occhi di tutti il fatto che viviamo in una società fortemente femminilizzata, dove gli uomini virili sono la minoranza e sono considerati, ci si passi l’espressione, ‘inadatti al vivere sociale’. A questo si unisce poi la continua propaganda sul femminicidio, sulle quote rosa, sulle discriminazioni nei confronti delle donne… che altro non fanno che rimandare un’immagine estremamente negativa degli uomini. È quindi chiaro che i ragazzi tenderanno a seguire modelli più femminili, il che però comporta una perdita per la società nel suo complesso (uomini, donne, bambini).

La cosa forse più terribile è che a sostenere queste tesi sia una donna. L'articolo risulta infatti firmato da una tale Teresa Moro, evidentemente convinta che non esista la violenza sulle donne e che il sesso non possa rappresentare un ostacolo alle opportunità di carriera. Ma non solo, auspica anche che l'uomo sia sempre più virile e brutale, aggiungendo che i cromosomi debbano avere un'influenza sulla personalità. Scrive:

Su questo tema, non a caso, lo psicologo Roberto Marchesini nel suo libro “Quello che gli uomini non dicono – La crisi della virilità”, propone un decalogo di “indicazioni, il più possibile concrete, per aumentare la consapevolezza della propria virilità” (p.93).
Eppure la maggior parte delle donne apprezzano, e desiderano, uomini pacificati con la loro natura integralmente (fisicamente, ma anche nella personalità) XY.
Perché, alla faccia del gender neutral, gli uomini depilati e complessati alle donne non piacciono. Noi bastiamo –e avanziamo– già a noi stesse: abbiamo però bisogno di uomini virili, così come ne hanno bisogno i nostri figli.

Apprendiamo così che per il sano sviluppo dei bambini è necessario che i loro padri non si depilino, così come le donne preferirebbero l'uomo rozzo che gli mostri (si spera non a suon di cinghiate) di avere cromosomi XY. Ehm... ma era forse quello stesso sito a domandare: «Ma come può parlare a nome di tutti i cittadini italiani?».


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