«Tre settimane fa ho deciso di fare il test»
È un post che ci era stato segnalato qualche mese fa daun nostro lettore. Raccontava la sua esperienza con il test dell'hiv, sottolineando tutta la difficoltà nell'affrontare da soli un confronto con la verità e con la paura di una malattia di cui si parla ancora troppo poco, alimentando anche lo stigma che la circolando e l'idea possa trattarsi di un qualcosa di incurabile. Ma ormai non è più così, ma la tempestività della diagnosi è fondamentale per gestire nel modo corretto la situazione.
Oggi, in occasione della Giornata mondiale per la lotta all'Aids, riproponiamo la sua sua esperienza, scritta con l'intento di dare coraggio a chi ha paura ad affrontare quello che dovrebbe essere un semplice esame di routine. La riproponiamo anche se in alcuni punti risulterà forse decontestualizzata, dato che nella giornata di oggi in tutta Italia sarà possibile accedere a test gratuiti e con risultati forniti in soli 20 minuti ed effettuati in ambienti più ospitali dei comuni.
Fuori piove. Non tantissimo. Fa ancora caldo, nonostante questo tempo incerto. Incerto come il mio stato d’animo.
Aspetto le due con impazienza. Ho fatto le analisi. Il test dell’HIV. E da tre settimane che aspetto i risultati. Non sono certo di averlo. Non sono certo di non averlo. Non ho certezze.
Amo il sesso e molte volte il preservativo si è rotto. Ma, ho lasciato passare. Volevo dimenticare quelle situazioni. Situazioni che mi portavano ansia. Pensavo che era meglio non sapere, ma mi sbagliavo.
Tre settimane fa ho deciso di fare il test. Da anonimo. Era un giorno caldo. Afa. Ero convinto. Era la volta buona. Troppo tempo ho vissuto nell’incertezza di essere sano. E nella certezza di essere insano. Troppo tempo.
Sono andato con un mio amico. Sono entrato ed il medico mi ha fatto le solite domande di routine. Mi ha punto leggermente con la siringa, mi ha tirato il sangue. E mi ha spiegato tante cose. Cose di cui non parla nessuno. Internet, le televisioni. Nessuno.
Mi ha detto che non si muore di Hiv e chi viene infettato vive una vita normale, come se avesse una malattia cronica, tipo il diabete. Nel caso della positività, si sarebbero dovuti fare altri esami per vedere lo stadio della malattia.
Esco con la consapevolezza di essere cambiato. Qualsiasi sia stato il risultato.
Le tre settimane passate ad attendere le ho vissute con un ansia consapevole. L’attesa è una nemica invisibile che ti segue ovunque. E non ti lascia perdere. Ho pensato a quello che ho fatto in passato, a cosa avrei detto nel caso in cui fossi stato sieropositivo. Ho pensato a cosa poteva pensare la gente. La Gente.
In queste tre settimane, ho vissuto come se non ci fosse un domani. Ho riempito ogni parte del mio tempo. Perché la vita è un dono e le dai importanza solo quando ti succede qualcosa. Non ho rimandato mai nulla. Ho apprezzato le passeggiate con il cane, le parole dette, gli abbracci ricevuti. Ho apprezzato tutto. E dico tutto.Fuori piove. Sono le tre ed io sono al reparto malattie infettive.
Nella sala d’attesa c’è un ragazzo che attende. Come me. C’era anche tre settimane fa.
Non c’è nessun dottore. Il tempo sembra essersi fermato. La sala d’attesa contiene tutte le mie ansie. Tra poco saprò ed in qualunque caso accetterò. Per forza.Entro in una stanza, visto che nessuno si fa vivo. C’è una ragazza. Forse tirocinante. Forse. Le chiedo dei risultati e le do il numero identificativo.Le chiedo, inoltre, di darmi il responso. Non ce l’avrei fatta a guardare da solo il responso. Forse sì. Ma, in quel frangente mi andava così.
Lei mi dice: “negativo”.
L’ho baciata anche se non la conoscevo, le ho detto grazie perché é stata al mio fianco. In quel momento.
Sono uscito cambiato. Cambiato perché questa esperienza mi ha aiutato, ora, a parlare di hiv: un argomento fino a ieri tabù.
Una malattia sessualmente trasmissibile che esiste. Una malattia, purtroppo e ancora oggi, vista male dalla società.Una malattia non solo omosessuale, che interessa tutti.
Di solito, non racconto i fatti miei privati, ma questa esperienza la volevo condividere. Perché potrebbe aiutare qualcuno, che non riesce da solo ad andarsi a fare il test. Se ti serve un aiuto, contattami. E ti aiuterò. Verrò con te.