Chi è Luca Di Tolve


Per l'integralismo cattolico Luca Di Tolve è un'arma, utile per legittimare qualunque forma di odio e per tramutare in carnefici il maggior numero di genitori. La sua storia viene sventata come la prova ultima di come un genitore possa modificare i propri figli se nati diversi da come li avrebbero voluti: è a loro che le associazioni integraliste raccontano fieramente come la violenza di alcuni gruppi lo abbiano trasformato in qualcosa che fosse in gradi di assecondare i desideri altrui sino a vivere una vita contro natura. È una vittima, esibita sul palco dell'ipocrisia quasi fosse un trofeo.
Ma per capire di chi che cosa si stia parlando, è necessario fare un passo indietro. Il grande pubblico non sa quasi nulla di lui, se non che «Luca era gay e adesso sta con lei». È questo il brano tratto da una canzone di Povia che Di Tolve cita anche sul suo sito ufficiale, nonostante il cantante l'abbia ufficialmente diffidato dal sostenere che fosse lui il protagonista della canzone. Eppure Di Tolve è un uomo che farebbe di tutto per un po' di visibilità, motivo per cui non stupisce abbia potuto cercare di cavalcare l'onda mediatica.
E che gli piaccia spararle grosse lo si vedrà da tutti i suoi racconti, così come il suo sostenere che sia stato gay dai 13 ai 31 anni, che cambiava almeno due partner a settimana o che abbia fatto sesso con 1.900 uomini. Ma altrettanto interessante è come spesso siano i suoi racconti a risultare contraddittori, al punto che bastano le sue stesse dichiarazioni a screditarne altre.

Nei suoi racconti dice che «alla scuola media fin dal primo giorno ho cominciato a provare un’attrazione irresistibile per il compagno di banco, Paolino. Mia madre mi portò da due psicologi, che emisero la stessa diagnosi: “È omosessuale, si deve solo accettare”. La televisione e il resto del mondo mi dicevano la stessa cosa. Fu come darmi via libera. Mi misi subito alla ricerca di altri uguali a me».
In più occasioni ha dichiarato di essere stato il primo Mr Gay d'Italia e di aver fatto fatto parte per due anni del direttivo dell’'Arcigay milanese. In un'intervista rilasciata ad Alleanza Cattolica, si può scoprire che in realtà il titolo millantato non è certo il concorso nazionale che è nato solo anni dopo rispetto alla sua presunta partecipazione, ma il premio vinto in una discoteca milanese dopo una sfilata a cui era stato invitato a partecipare «perché c'erano pochi iscritti». Un conto è parlare di un premio nazionale, un altro è far credere che di quello si parli dinnanzi ad un titolo vinto ad una festicciola tenutasi alla Nuova Idea di Milano (la discoteca che venne espropriata e rasa al suolo da Formigoni perché ritenuta troppo vicina alla nuova sede della Regione). Anche riguardo alla sua militanza nel direttivo non ci sono tracce pare che in realtà Di Tolve si occupasse di organizzare crociere gay in cui fare del sesso facile con altri ragazzi. Dai suoi racconti si apprende anche come quella fu un'iniziativa presa direttamente da lui, motivo per cui non è chiaro quali collegamenti ci sarebbero con un direttivo di cui lui pareva persino ignorare le attività.
Quel che è chiaro è come il sesso e la bella vita fossero diventate la sua unica ragione di vita. Faceva spesso sesso anonimo e ben presto iniziò a prostituirsi. Ovviamente, come vedremo più tardi, ora sostiene che quella non sia stata una sua scelta ma un'imposizione che sarebbe derivata dal far parte del mondo gay: «Mi facevo mantenere -racconta- È una consuetudine piuttosto diffusa nell'’ambiente gay. Conobbi Riccardo, un trentenne milanese figlio di un miliardario. Lavorava per l'’industria orafa e per la moda. Agli stilisti mi presentava come il suo fidanzato. Mi versava tre milioni e mezzo di lire al mese solo per stare con lui. Più la carta di credito. Mi pagava il personal trainer perché diventassi sempre più bello e palestrato. Nel frattempo ognuno di noi aveva storie parallele. Abitavo in Montenapoleone, giravo con l’autista e il Rolex d’oro al polso». Frequentava il jet set internazionale. Avvicinò Gianni Versace e Giorgio Armani, ha conosciuto Dolce e Gabbana a Taormina, si è fatto fotografare con Carla Bruni a Portofino ed ha preso parte alle feste sui panfili a cui partecipavano Naomi Campbell, Flavio Briatore e Sean Combs.

Probabilmente è grazia alla sua predilezione per il sesso anonimo e non protetto praticato nei parchi che apprese di aver contratto l'Aids. Per ben sei anni continuò ad avere rapporti a rischio d'infezione con altri uomini. Li adescava e praticava sesso non protetto, incurante di come potesse contagiarli e spingerli alla morte in un'epoca in cui la malattia era ancora sconosciuta e priva di terapie. Lo descrive chiaramente nel suo libro, senza mostrare alcun pentimento contro quel crimine.
Decise di non chiedere aiuto all'Associazione Solidarietà Aids (ASA) che aveva sede negli stessi locali che lui frequentava, preferendo un atteggiamento distruttivo in cui attribuiva ai gay la colpa delle sue scelte di vita. Ad aiutarlo in questo processo furono le amicizie con l'estrema destra strette in quegli anni: frequentò Marco Invernizzi (esponente del movimento politico di estrema destra Alleanza cattolica) e trovò accoglienza da parte del Centro culturale Amici del Timone di Staggia Senese. La sua storia venne rilanciata da Corrispondenza Romana (che fa capo alla Fondazione Lepanto di Roberto de Mattei) e lo si spinse verso una colpevolizzazione altrui. La sua malattia non era conseguenze delle sue scelte, ma l'essere gay era colpa dei suoi genitori ed era colpa dei gay se lui si era prostituito. Insomma, qualunque azione sarebbe stata causata da qualcun altro quasi come se lui non avesse mai scelto nulla.
È in questa occasione che Di Tolve appare come una vittima: convinto ad odiare il mondo pur di non assumersi le sue responsabilità. E tutto questo solo a causa di personaggi che avevano da guadagnarci nel poterlo usare come un trofeo da sventolare per legittimare le loro battaglie contro il diritto all'esistenza dei gay.

Il passo successivo fu l'avvicinamento alle fantomatiche "terapie riparative" di Nicolosi. Do Tolve dice che lui non voleva più essere gay perché ormai odiava i gay: nella sua mente era colpa loro se si era ammalato. Nel suo libro racconta: «Cercai Giancarlo Ricci, psicoterapeuta aderente alla rete Narth del professor Nicolosi. Cominciai a lavorare sulla mia virilità. Dopo essere stato assunto come guardia giurata, mi misi a studiare La Gazzetta dello Sport e a guardare Il processo di Biscardi in televisione per non farmi cogliere impreparato dai colleghi che parlavano solo di calcio. Sentii d’avercela fatta il giorno in cui m’invitarono con loro al bar a bere una birra. Ero tornato nel gruppo dei pari. Pensai: tu puoi essere eterosessuale, tu puoi formarti una famiglia. Era un'’idea che mi faceva sentire bene».
Di Tolve si lanciò così nel sostenere che l'omosessualità sia «un effluvio misterioso dall'oscuro potere» che «lo fa pascere negli spasimi della dipendenza». Il tutto sostenendo la sua «vicenda ne è la prova». Ed è così che ad un certo punto se n'è uscito dicendo: «Adesso, finalmente, sono guarito».
A quel punto si è cercato una donna: «Nel 2005 andai a Medjugorje per ringraziare la Madonna d’avermi salvato. All’ora dell’apparizione, fu come se la creazione si fermasse. Un silenzio assoluto, irreale. Guardai il sole a occhio nudo. Caddi di nuovo in ginocchio. Tornato in Italia, a casa di una coppia di amici che era stata in pellegrinaggio con me, conobbi Teresa. Il 22 agosto 2008, dopo tre anni di fidanzamento, la sposai. Ora vorrei diventare padre».
Dice che la presenza in natura dell'omosessualità non sia sinonimo della sua naturalità, dato che «la natura dà luogo a innumerevoli condizioni indotte biologicamente, dai disturbi ossessivo-compulsivi al diabete, ma nessuno li considera normali solo per il fatto che si producono in modo naturale. Se due omosessuali desiderano stare insieme, lo facciano. Ma perché una ristretta minoranza pretende di stravolgere i valori maschili e femminili e di snaturare la famiglia, che è l’architrave di qualsiasi consorzio umano?».
A godere di quella "famiglia" è anche lui, ora che si è sposato con una donna. Peccato che sia lui stesso a dire di dover pregare quotidianamente la Madonna per non trovarsi a provare disgusto nei suoi confronti. Anzi, dice che ha costantemente paura di "tornare" ad essere gay: «Sempre. È la spina nella carne. Però qui in spiaggia a Pescara mi guardo attorno e sento il Signore che mi dice: “Vai, vai, che sei guarito”».
A Rimini prende prese anche ad una conferenza organizzata per lui dai Lefebvriani (di cui è stato diacono anche il caporedattore di ProVita) che gli dedicano sulla loro rivista anche un articolo dall'eloquente titolo: "Le ragioni del volto violento dell'omosessualismo. Dall'omosessualità si può e si deve guarire. La vicenda personale del signor Luca Di Tolve ex omosessuale perseguitato dai suoi ex sodali offre l'opportunità di riflettere sulle cause dell’attacco violento alla natura umana portato dall'omosessualismo militante».

Da quel momento di Tolve si è lanciato in una serie di affermazione fanatiche che ben mostrano il lavaggio del cervello subito. Sostiene che il termine «drag queen» significherebbe «regina drago» nonostante un etimologia più attendibile ci porterebbe a sostenere che il termine "drag" deriverebbe dal gergo della Londra gay degli anni '60 in cui era usato per indicare i vestiti. Ed ancora, secondo lui la storia della bandiera rainbow è un «marchio diabolico» in cui colori della bandiera della pace risulterebbero invertiti (anche se non è così: dato che il numero di colori è differente e che la bandiera rainbow segue semplicemente i colori dell'arcobaleno).
Ma a farci capire come molte delle sue teorie si basino sulla spasmodica ricerca di pretesti che possano far colpo sull'uditore in modo da fargli percepire l'omosessualità come un qualcosa di satanico, ecco che Di Tolve racconta anche di aver frequentato un locale romano chiamato "Il diavolo dentro". Peccato, però, che le date non tornino dato che quel locale è stato aperto solo nel 2004 e quindi in un periodo successivo a quello in cui lui sostiene di aver frequentato i locali gay.
Ma non solo. Nel suo libro parla anche di termini con cui non pare lui abbia molta familiarità: considera sinonimo parole come «coming out» ed «outing», scrive cruising con la y ("cruysing") e fetish con una c in più ("fetisch"). Sostiene persino che le dark room siano luoghi dove «vengono anche proiettati films o cortometraggi pornografici». Insomma, dettagli che mostrano chiaramente come si racconti qualcosa di poco credibile solo perché l'uditore medio di Alleanza Cattolica non ha gli strumenti per comprendere di essere preso in giro.

Di Tolve e la moglie Terri otterranno poi il sostegno del movimento politico Alleanza Cattolica per fondare l'associazione Gruppo Lot, sostenendosi attraverso l'organizzazione di corsi e convegno in cui sostenere che l'omosessualità sia una scelta e che chiunque possa diventare etero a proprio piacimento. O, quantomeno, diventarlo come Di Tolve e passare la propria vita a pregare la Madonna di non provare schifo verso una finta vita eterosessuale che ci si auto-impone sulla base del più mero fanatismo religioso.
È infatti la religione ciò che viene strumentalizzato per quel business, al punto che Di Tolve dichiarò persino che il Catechismo della Chiesa cattolica direbbe che l'omosessuale egodistonico può richiedere un trattamento per cambiare orientamento e che per l'Organizzazione Mondiale della Sanità gli omosessuali egodistonici sarebbero eterosessuali latenti. Peccato che entrambe le affermazioni sono prive di fondamento.
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