ProVita: «È colpa del femminismo se gli uomini non sono più virili. L'uomo deve essere oppressore per natura»
L'associazione ProVita è una di quelle realtà convinte che la donna debba occuparsi solo di tenere la casa in ordine e aprire le gambe quando un uomo le dice di farlo. Una donna capace di pensare o di essere parte attiva della società è ritenuta una minaccia a quella famiglia eterosessuale e maschilista che vorrebbero sia imposta per legge.
Per sostenere questa teoria hanno organizzata una conferenza con Roberto Marchesini, poi riassunta sulle pagine del loro sito con toni imbarazzanti. Scrivono: «Dove sono gli uomini? È questo il grido che risuona sempre più forte nella nostra società, caratterizzata da una profonda crisi della virilità e dall'assenza di figure paterne. Per essere uomini non è infatti sufficiente avere in dotazione il corredo cromosomico XY. Un uomo è tale quando riesce ad armonizzare tutte le sue dimensioni: biologica, fisica, psicologia, affettiva… insomma, come avrebbero detto qualche anno fa, quando sa essere un uomo “tutto d’un pezzo”».
Si sostiene così che «secondo Marchesini la virilità è ‘naturale’ in tutti gli uomini: è un progetto iscritto in potenza in ogni cellulare del loro corpo, e che ha solo bisogno di farsi realtà. Veramente virile è infatti l’uomo che è disposto a dare la propria vita per un’altra persona. Gli uomini sono portatori della fortezza, interiore ed esteriore: la capacità di opporsi al male anche a costo della vita. Un sacrificio, questo, che caratterizza anche la donna, ma in forma diversa: più interiore, più volto all’accoglienza e al silenzio. Le donne sono infatti portatrici nel mondo della grazia, interiore ed esteriore».
Ma a spiegarci i risvolti politici di tali tesi è il passaggio in sui si afferma:
Ha cominciato ad affermarsi il concetto secondo cui l’autorità va considerata un potere oppressivo, da annullare. E questa ondata è stata cavalcata dal movimento femminista negli anni Sessanta, sulla scorta della visione tipicamente contrapposta d’impronta marxista, per cui gli uomini opprimerebbero le donne. Come fare quindi? Per le femministe era semplice: bastava dare vita a una società senza sessi, ossia senza più oppressi ed oppressori.
Negli anni Ottanta si è quindi arrivati al politicamente corretto, anche detto “cultura del piagnisteo”: ossia un modo di concepire il mondo che è tipicamente femminile, senza conflitti. E questo non sarebbe un male di per sé, ma lo diventa nel momento in cui questo significa annullare le peculiarità maschili, perché prevale l’idea che la forza (caratteristica maschile) corrisponda alla violenza (e si torna all’uomo ‘oppressore’), ossia a una caratteristica negativa.
Secondo Marchesini, la "virilità" corretta dell'uomo è quella che si sarebbe manifestata «durante la cavalleria medievale. Qui l’uomo doveva essere forte, coraggioso e sacrificarsi per i più deboli». Il tutto per giungere a sostenere che: «È necessario recuperare la disponibilità al sacrificio, secondo il proprium maschile e femminile. Solamente così si potrà far fronte all’emergenza educativa che caratterizza il nostro tempo: i giovani hanno bisogno di ricevere dagli adulti una cornice, un senso del vivere, dei valori, un progetto… loro sanno che c’è un orizzonte, ma chiedono a noi adulti di dire loro qual è, con l’esempio di vita e tornando a raccontare loro storie che portino esempi positivi e integri di uomini e di donne pienamente realizzati nella loro vocazione»