A ProVita non piace "Piccolo uovo" e grida allo scandalo. Peccato lo faccia da almeno tre anni


Su una cosa pare non esserci alcun dubbio: a Toni Brandi non piace il libro "Piccolo uovo". Sono almeno 23 gli articoli pubblicati dal 2013 ad oggi con cui la sua associazione integralista si è scagliata contro il volume (qui, qui e qui alcuni esempi) e probabilmente è anche un numero sottostimato dato che Google suggerisce che le pagine di denigrazione a quel volume siano ben 93.
Quello che però non è chiaro è perché mai la sua associazione ne parli sempre come se fosse la prima volta, sostenendo in modo ossessivo che quella sia la prova provante che loro hanno ragione e che il resto mondo sia in errore nel mettere in discussione la santa verità rivelata dall'illustrissimo Brandi.

Ed è così che in un articolo intitolato "Gender all’asilo, a Roma, zona Settecamini" affermano:

Il gender a scuola non esiste, si tratta solo di inutile allarmismo, di fondamentalismo becero. C’è ancora chi ripete questa storiella, mentre continuano ad arrivare, a noi e ad altre associazioni, le denunce e le lamentele dei genitori…

Si inizia così a sostenere che esistano presunti «casi gender» e si fanno nomi e indirizzi delle realtà che vogliono rendere vittima della loro inarrestabile macchina del fango. Tra i "colpevoli" viene indicato Comune di Roma (ossia dove il caso vuole che il loro amichetto Adinolfi si sia candidato promettendo una battaglia a qualunque forma di rispetto verso le minoranza), c'è il professor Baiocco dell’Università La Sapienza (di cui fanno il nome quasi a voler aumentare la possibilità di ritorsioni) e c'è l'Associazione Scosse (da loro screditata nel sostenere che «mostrano evidenti criticità per l’approccio non scientifico al tema». Ma dato che a dirlo è una realtà pronta a sostenere che il fantomatico "gender" abbia una qualche valenza scientifica, allora forse quello è da ritenersi un complimento).

Si sostiene poi che l'educazione al rispetto finisca con il «confondere tutti i bambini sulla loro identità sessuale e sui loro riferimenti primari quali sono la mamma e il papà», così come ci si lancia nel sostenere che esistano «fondamenti pedagogici per cui poi a tutti gli effetti si attuerebbe una discriminazione al contrario, con la scusa della lotta alle discriminazioni».
Non manca poi un po' di psico terrorismo: si afferma che quanto accaduto sia un crimine e che il comitato di Gandolfini ha prontamente provveduto a denunciare al Miur sulla base della della circolare che chiede siano segnalare ogni azione che promuovana «pensieri o azioni ispirati ad ideologie di qualsivoglia natura». In un sol passo, dunque, si è cercato di far credere che sia successo qualcosa di così grave da meritare una denuncia, così some si sostiene che l'omosessualità e il rispetto siano ideologie.

Curioso è come in questo fiume di parole non si giunga mai al sodo, forse perché il fatto in sé appare quantomai ridicolo. Solo ad un certo punto iniziano a raccontare che:

Tutte le attività che vertono su temi educativi ‘sensibili’ devono essere preventivamente concordate con i genitori ed eventualmente restare facoltative, in quanto ‘extracurricolari’, anche se si svolgono in orario scolastico. Come conseguenza del corso le educatrici introducono nei nidi fiabe gay, spessissimo senza che i genitori siano adeguatamente informati.
In questo caso il libro è il famoso Piccolo Uovo, proposto dalle educatrici a una mamma, affinché lo acquisti per una raccolta di letture da svolgere a scuola con tutta la classe – bambini tra i 18 e i 24 mesi – e da portare a piacere a casa.

In quel clima in cui il parere di una singola persona vale più di chiunque altro (ovviamente solo se utile a sostenere la loro ideologia), ecco che raccontano con toni drammatici come una povera madre non sappia come non far leggere al figlio un libro che potrebbe renderlo una persona per bene e non una vittima dei propri pregiudizi:

La mamma si informa, non è d’accordo che si legga a suo figlio e si rifiuta di acquistarlo. Altri genitori vengono a conoscenza della questione e manifestano il proprio disappunto alla scuola e alla cooperativa cui la struttura fa capo.
La lista dei libri non era stata resa nota: le educatrici hanno indotto la signora a pensare che tutti i genitori condividessero la scelta di “Piccolo uovo”, mentre nessuno ne era al corrente; la mamma in questione ha ricevuto solo una promessa verbale che al figlio sarebbero state proposte attività alternative alla lettura del libro: niente di scritto e, soprattutto, nessuna assicurazione che i bambini non avrebbero letto il libro da soli.
Dopo il rifiuto della mamma il nido ha deciso di acquistare il libro come corredo didattico della scuola: come a dire che un libro che parla di omosessualità e fecondazione artificiale a bambini che portano ancora il pannolino, ha lo stesso impatto di una sedia o di un peluche. E così il testo diventa di fatto obbligatorio e non più facoltativo e qualunque nuovo alunno lo troverà senza che le famiglie ne siano informate.

La logica perversa di questo ragionamento ha del surreale. Si sostiene che se l'associazione ProVita riesce a convincere qualcuno che il libro "Piccolo uovo" sia da ritenersi più pericoloso del Necronomicon dato che c'è il tangibile rischio che il bambino non possa sviluppare pregiudizi, allora non è sufficiente che il genitore neghi quella lettura ai suoi figli: l'asilo deve liberarsi da qualunque coppia abbia in libreria e tutti gli altri bambini devono essere privati da una lettura che potrebbe aiutarli nella loro crescita.
In pratica, chi aderisce all'ideologia di Brandi deve avere più peso di chiunque altro nell'ottica in cui i bambini devono necessariamente essere indottrinato a diventare ombre del leader integralista, utili elettori dinnanzi alle logiche neonaziste che sperano di ottenere potere politico attraverso la promessa di maggiori discriminazioni.

L'articolo lamenta poi come l'asilo non abbia voluto dare «dare garanzie scritte che il libro non venga sfogliato autonomamente dai bambini le cui famiglie non vogliano» e si sostiene che «i genitori coinvolti vengono messi sempre più all'angolo e contro di loro inizia addirittura una campagna denigratoria sui social da parte di altri genitori, con tanto di richiesta di raccolta firme». Insomma, confermano la nostra ipotesi sul fatto che i genitori degli altri bambini hanno piacere di veder crescere sani i propri figli anche contro il volere di quella minoranza violenta che vorrebbe indottrinarli tutti all'odio.
Un'evidenza che pare essere invertita da chi sostiene che quella sia la prova definitiva di come «il gender s’impone, come ogni ideologia, attraverso la violenza e la sopraffazione». Peccato che chi volesse imporre la propria chiusura mentale è chi ora si dice discriminato nel non aver potuto discriminare i figli altrui.

A proposito: il libro si limita a raccontare la storia di un piccolo uovo che non si schiude perché il suo occupante non ha voglia di nascere: gli hanno detto infatti che lo aspetta una famiglia, ma lui non ha ben idea di cosa significhi. Decide allora di andare in avanscoperta e incontra le composizioni più diverse: famiglie con due mamme o due papà, con una mamma e un papà, con dei cuccioli adottati, con un papà e un cucciolo, con uno o più cuccioli. Ed è così che il libero si conclude con una semplicissima frase: «Piccolo uovo aveva conosciuto tutti i tipi di famiglia: tutte sembravano un bel posto dove crescere».
Difficile è comprendere perché mai Brandi sia così ossessionato da un messaggio tanto semplice quanto naturale. Il timore che l'integralismo non abbia compreso quella la trama pare però giungere dal riassunto che ne propongono, dato che si lanciano nell'asserire che quello sia «un libro che parla di omosessualità e fecondazione artificiale a bambini che portano ancora il pannolino».
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