Secondo un tribunale di Parigi, non è omofobo dare del «frocio» ad un parrucchiere
Pare che non si possa vivere al sicuro dalle discriminazione neppure negli stati in cui la legislazione è più avanzata che in Italia. Ed è così che nella Franca del 2016 può accadere che un tribunale di Parigi stabilisca che non ci sia nulla id omofobico nel chiamare «frocio» un parrucchiere dato che «tanti parrucchieri impiegano regolarmente i gay».
Dinnanzi alla corte si era presentato un giovane parrucchiere che era stato licenziato dopo essersi assentato dal posto di lavoro a causa di una malattia. Il suo datore di lavoro lo aveva accidentalmente messo in copia ad un messaggio in cui l'uomo diceva ad una terza persona: «Io non ho intenzione di tenerlo [il dipendente]. Non ho un buon feeling con quel ragazzo. È un lurido frocio».
Il messaggio è stato portato dinnanzi alla corte per testimoniare quello che aveva tutta l'aria di essere una discriminazione basata sull'orientamento sessuale, ma i giudici hanno sostenuto che non ci fosse nulla di male nell'usare quel termine: «All'interno del settore dei parrucchieri, il Consiglio non ritiene che il termine "frocio" utilizzato da un manager possa essere considerato come un insulto omofobo, perché i saloni dei parrucchieri impiegano regolarmente le persone omosessuali, in particolare nei parrucchieri da donna, e l'orientamento sessuale non è un problema per nessuno».
Il ministro del lavoro, Myrian El Khomri, si è immediatamente scagliato contro quella sentenza, definendola «scandalosa» e «scioccante». La Défenseur des droits, un'autorità costituzionale indipendente creato dalla revisione costituzionale del 23 luglio 2008, ha annunciato che farà ricorso contro quel pronunciamento.