ProVita: Il gender è una religione, gli stereotipi non esistono e per colpa dei gay si andrà nudi all'università

L'identità di genere non esiste e tutto ciò che conta è il sesso biologico. Se Toni Brandi ha geni XY e gli piacciono le donne, allora chiunque abbia gli stessi geni deve necessariamente avere la sua sessualità dato che evidentemente si ipotizza che lui sia il metro di confronto per determinare cosa sia giusto e cosa no.
Più o meno è questa l'ideologia che guida la campagna d'odio dell'associazione ProVita, incessantemente impegnata a sostenere che esistano pericolosissime ideologie volte a garantire rispetto e dignità per chiunque non sia fatto a loro immagine e somiglianza o non condivida il loro pensiero unico.
Per diffondere odio ed intolleranza, l'associazione integralista ha scelto una continua propaganda volta a creare isteria avverso una fantomatica «ideologia gender» che può tornare utile ad ogni occasione dato che è un qualcosa che non esiste e che può essere ridefinito all'occorrenza. L'importante è usare quel termine con insistenza, giusto perché la gente possa davvero pensare che esista.

Ed è così che sulle loro pagine si incontrano articoli come quello intitolato "Idiozia Gender all’Università: tutti nudi contro gli stereotipi", nel quale affermano:

Bisognerà finirla di parlare di ideologia gender. Forse è ora di cominciare a chiamarla con il suo nome. Qualcuno dice che è una religione, per via del suo dogmatismo, che richiede adesione cieca, totale e prona; ma forse l’espressione giusta è ‘idiozia’ gender.

Si parte così dalla solita offesa gratuita verso qualunque iniziativa non sia degradante ed offensiva verso la comunità lgbt, sempre e solo attraverso generalizzazioni e toni da sciampista ultracattolica:

Nell’ambito del Festival LGBT –organizzato dal Collettivo Identità Unite e dalla Lista Studenti Indipendenti– nell’atrio del Campus Einaudi, Università di Torino, è stata allestita una mostra fotografica in cui sono ritratti studenti e studentesse nudi, per “combattere gli stereotipi del corpo”.
È interessante leggere le chiacchiere che ne sono derivate. Ne parla per esempio La Stampa, qui. Il permesso c’era, non c’era; si sapeva, non si sapeva; è arte, non è arte…
Alcuni denunciano una certa ipocrisia in salsa gender, perché i modelli che si sono spogliati sono comunque tutti (maschi e femmine) belli e prestanti, ben depilati, ecc.

Il tutto per giungere a pontificare:

A noi sembra –fondamentalmente– un’idiozia, quella di volersi liberare da stereotipi inesistenti (quelli contro cui strillano gli ideologi del gender). Abbiamo detto più volte che gli stereotipi dannosi sono ben altri. Per esempio quello di dover a tutti i costi far credere che è ‘normale’ andare in giro nudi o vedere la gente nuda senza più un briciolo di pudore.
Ma sì… il pudore è roba vecchia e ammuffita. Certamente non va più di moda. Forse qualcuno sente ancora un bisogno di riservatezza e di intimità, un desiderio di custodire il proprio corpo come qualcosa di estremamente prezioso e che non va quindi dato in pasto a tutti; forse c’è chi sente di non voler violare l’intimità altrui, anche quando gli altri di questa intimità non sanno che farsene: queste persone non hanno diritto al rispetto, all’inclusività e alla non discriminazione. Loro no.
Queste persone devono essere rieducate. Le loro menti devono essere riprogrammate, i loro istinti naturali vanno castrati. Andremo tutti in giro nudi all’università. Almeno fino a quando dura la bella stagione.

Per contestualizzare la sterile polemica di ProVita e le sue accuse, bene è notare come praticamente nessuno degli studenti dell'ateneo si sia sentito offeso da quelle fotografie. Gli unici ad aver protestato, guarda caso, è il collettivo dell lista Obiettivo studenti, vicina a Comunione e Liberazione. Solo loro hanno sostenuto che quelle foto fossero eccessive, in quell'ottica dove la nudità deve essere temuta mentre la morte e violenza possono tranquillamente essere mostrate.
A sottolineare il comportamento violento questi gruppi è come gli studenti ciellini si siano messi alla ricerca di un qualche cavillo per far chiudere una mostra perfettamente legittima, trovandolo forse nel fatto che il progetto era stato mostrato alla dirigenza ma non era stato ufficialmente depositato. Ma nel mondo dell'integralismo si da voce solo a chi è parte di quel pensiero unico che si vuole propagandare, incuranti della verità o del pensiero degli altri ed è per quello che Brandi è accorso a cercare id censurare la libertà espressiva di chi non la pensa come lui.


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