ProVita torna a diffamare la docente licenziata perché le suore la credevano lesbica

La sentenza del tribunale di Trento che ha condannato l'Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù al risarcimento risarcire di una docente che si vide rifiutare il rinnovo del contratto perché le suore sospettavano potesse essere lesbica co mostra anche un'altra evidenza: gli attacchi e gli insulti che l'integralismo cattolico ha riservato alla vittima non erano altro che diffamazione.

L'associazione ProVita, i Giuristi per la vita, Nuovi orizzonti ed il Medev diramarono un comunicato stampa in cui si accusava la vittima di aver ordito «una virulenta campagna mediatica diffamatoria» che «ha insinuato che i responsabili della scuola paritaria trentina avessero licenziato una giovane insegnante a causa del suo orientamento sessuale». Spergiurarono anche che «l'inutile polemica si potrebbe tranquillamente chiudere precisando che nel caso in questione non si è trattato di alcun licenziamento, in quanto il contratto a tempo determinato con l’insegnante è cessato in data 30 giugno 2014, contratto nel quale, peraltro, la stessa docente aveva dichiarato di essere consapevole dell’indirizzo educativo e del carattere cattolico dell’istituzione e di collaborare alla realizzazione di detto indirizzo educativo». Il tutto per sostenere che «quand’anche si fosse trattato di licenziamento, il comportamento tenuto dall’Istituto deve comunque considerarsi pienamente legittimo, laddove si consideri il principio sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 29 dicembre 1972, n. 195, e ribadito nel 2011 da una pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui una struttura scolastica paritaria ha diritto di scegliere i propri docenti in base a una valutazione della loro personalità, e di recedere dal rapporto di lavoro ove gli indirizzi religiosi o ideologici del docente siano divenuti contrastanti con quelli che caratterizzano la scuola».
Naturalmente l'orientamento sessuale non è una «ideologia» così come una suora non ha alcun diritto di mettere il becco nella vita privata dei dipendenti solo perché si definisce cristiana. Questo è quanto è stato ribadito dai giudici che, appurati e fatti, hanno accertato come ci sia stata discriminazione.

A quel punto i gruppi integralisti avrebbero dovuto chiedere per il fango che avevano riversato contro una vittima solo perché la loro ideologia li porta a ritenere che una persona che sia lecito discriminare chiunque non neghi di essere lesbica (nessuno sa realmente quale sia l'orientamento sessuale della donna, dato che il tema è solo il suo rifiuto a renderne contro alla madre superiora, ndr). Anche la loro certezza sul fatto che non si sarebbe stata alcuna violazione dei contratti pare derivare dal pregiudizio che li porta a ritenere che i gay abbiano sempre torto e che gli eterosessuali non debbano rispondere delle violenze perpetrate alle minoranze a loro poco gradite.
Ma così non è stato. Chi vive di odio non conosce che odio, ed è forse questo il motivo per cui l'associazione integralista ProVita è tornata a diffamare la vittima che ha osato denunciare persone che loro sostengano debbano essere considerate al di sopra della legge.

In un articolo intitolato "Omofobia? A Trento vince la dittatura LGBT", il sito integralista scrive:

Molti ricorderanno il caso di presunta “omofobia” dell’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù, scuola cattolica paritaria di Trento: era l’estate del 2014 e l’Istituto era salito agli “onori” della cronaca in quanto accusato di aver licenziato una professoressa per via del suo orientamento sessuale.
Sulla vicenda ProVita, in unione con i Giuristi per la Vita, Nuovi Orizzonti e il Mevd, aveva presto posizione con un Comunicato Stampa.
All’epoca le lobby Lgbt trentine –ma non solo– avevano subito gridato all’omofobia, sostenendo che l’Istituto aveva compiuto una discriminazione (cosa non vera, per almeno quattro motivi, come spiegavamo qui).

Il riferimento è ovviamente ad un altro loro articolo, in quell'ottica dove sostengono di aver ragione perché se la danno da soli. Anche in quell'occasione dicevano che tutta la storia non sarebbe stato altro che «una bufala». Accusarono la vittima di non essere «in ordine per quanto concerne la sua abilitazione ad insegnare» e si dice che, in quanto presunta lesbica, sarebbe stata non idonea perché il solo fatto di esistere era la loro ritenuto una violazione di «un esplicito impegno a rispettare i particolari aspetti pedagogici che fanno di questa scuola una struttura di ispirazione cattolica».
Se ai tempi dell'articolo si poteva anche ipotizzare che queste cose fossero state scritte per ignoranza, all'indomani della sentenza pare malafede il voler negare quanto appurato dai giudici. Prima di sentenziare, infatti, avranno pur guardato le carte e avranno pur appurato che queste teorie fossero false, no?

Ma è sempre sostenendo che la realtà sia quella da loro ipotizzata sulla base del loro disprezzo verso le lesbiche e non certo quella appurata dai giudici, l'associazione ProVita scrive:

Diversi quotidiani hanno reso noto che il Tribunale di Rovereto (TN) – a seguito del ricorso presentato dalla docente nel 2015 e e per i profili di discriminazione collettiva dalla CGIL del Trentino e dall’Ass. radicale Certi diritti – con un’ordinanza datata 22 giugno ha condannato l’Istituto Figlie del Sacro Cuore a risarcire 25.000 euro alla diretta interessata per danni patrimoniali e non patrimoniali e 1.500 euro alle due organizzazioni ricorrenti. Il giudice ha infatti rilevato una “discriminazione individuale” nei confronti dell’insegnante sulla base del suo orientamento sessuale e una “discriminazione collettiva“, in quanto la condotta della scuola interessa tutti i potenziali lavoratori interessati all’assunzione presso l’Istituto.
Che sia una decisione influenzata dall’ideologia più che dalla legge vigente? Chissà. Vogliamo pensar bene, per non far peccato…
Il legale della docente, il noto avvocato pro-Lgbt Alexander Schuster – … ma che coincidenza! – è naturalmente molto soddisfatto della decisione presa e ha voluto ribadire a Il Corriere della Sera che «Questa decisione fissa un punto chiaro: i datori di lavoro di ispirazione religiosa o filosofica non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita. L’uso di contraccettivi, scelte come la convivenza, il divorzio, l’aborto, sono decisioni fra le più intime che una persona può compiere e non possono riguardare il datore di lavoro».
La docente, dal canto suo, si è limitata a dire che «finalmente ha avuto giustizia».

Curioso. Quando un giudice viene accusato di imparzialità perché seguace dell'integralismo cattolico, loro erano primi a dire che le sentenze non si discutono. Qui, invece, criticano persino gli avvocati (che per definizione sono sempre e comunque dalla parte dell'assistito). E che dire di come la docente omofoba di Chiari si affidò a Gianfranco Amato come avvocato? I gay non devono avere avvocati a favore dei gay mentre gli omofobi devono poter avere avvocati dichiaratamente omofobi?
Com'è possibile che ogni volta quell'associazione presenti due pesi e due misure in modo da sostenere che a loro tutto sia dovuto e agli altri non spetti alcun diritto?

Eppure è nel finale che l'associazione si lancia nell'affermare che i giudici siano die perfetti deficienti se osano basare le loro decisioni sulla realtà dei fatti e non sulla finta "verità" ideata da chi difende sempre e comunque chiunque discrimini. Ed è così che Brandi si lancia in un'accusa diffamante anche verso l'operato della magistratura, sentenziando che:

In tutto questo, purtroppo, a rimetterci è solo la verità. In questo caso non c’è omofobia, non ci sono comportamenti discriminatori, non ci sono logiche di prevaricazione sul privato delle persone. Semplicemente c’è un Istituto paritario ad indirizzo cattolico che ha applicato la legge alla perfezione e che ha a cuore l’educazione dei propri studenti.
In ogni caso la questione non finirà qui. L’Istituto Sacro Cuore è attualmente in silenzio stampa, ma tutto fa supporre che impugnerà l’ordinanza. E allora si vedrà se la verità emergerà sopra le chiacchiere e la coltre dell’ideologia Lgbt.

Insomma, il messaggio è chiaro. ProVita invita i suoi adepti a non rispettare le sentenze, sostenendo che la verià non sia quella appurata dai tribunali ma quella inventata di sana pianta dalla stampa integralista, il tutto in quel clima che pare far parte della loro crociata contro la legalità a favore di quello che sostengano debba essere una sorta di "immunità" riservata a chiunque dica di essere "cristiano" (anche se spesso quel termine è usato a sproposito, dato che i "cristiani " a cui inneggia ProVita sono Putin, Adinolfi, Amato, Organ e Gandolfini... tanto basta a rendere opinabile la loro definizione).


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