Il diritto è morto, la macchina del fango no
Il diritto di rettifica consiste nella facoltà, da parte dei soggetti di cui siano state diffuse immagini o ai quali siano stati attribuiti atti, pensieri, affermazioni, dichiarazioni contrari a verità da parte di una radio, televisione, giornale, sito, blog, di richiedere la diffusione di proprie dichiarazioni di replica, in condizioni paritarie rispetto all'affermazione che vi ha dato causa. È un diritto previsto dalla legge.
Dopo le gravi dichiarazioni rilasciare dal Marco Tosatti su La Stampa e dopo l'intervista trasmessa da Radio Padania in cui Toni Brandi ha avuto a sua disposizione ben 13 minuti passati a lanciare accuse e minacce contro Gayburg, ad entrambi i soggetti coinvolti è stato chiesto di poter esercitare il diritto di rettifica per spiegare come non vi fosse alcuna minaccia di morte in un articolo in cui si stava semplicemente spiegando come una continua aggressione mediatica da parte di soggetti sin troppo noti potesse causare autolesionismo nelle vittime che si sentono ignorate da uno stato che non interviene e da istituzioni che non offrono risposte dinnanzi a insulti, aggressioni e violenze quotidiane. In quel caso si era anche spiegato come nel caso specifico non avesse alcun senso attendere che il persecutore sparisse da sé a fronte di un movimento piccolo ma dotato di un ricambio generazionale che rischia di assicurare una incessante attività persecutoria anche negli anni a venire. Ebbene, dinnanzi a tutto questo Brandi ha dichiarato: «Marco Tosattti, che ha scritto un articolo su queste denunce di morte a me e Adinolfi, ha ricordato gli attacchi al commissario Calabresi che poi venne ucciso».
Sinceramente non si capisce su che base siano potute essere fatte dichiarazioni simili, ancor più considerato come quella gente pare stia creando false minacce per creare procurati allarmi che diano visibilità alle loro azioni persecutorie dinnanzi a quelle vittime di cui parlava l'articolo. Ancor più quando le accuse giugno da un uomo che invitava a »prendere i fucili» contro le unioni gay o che difendeva i sacerdoti che sostenevano che i gay meritassero la morte. Non solo, quando fondò il settimanale The Week (ai tempi ce l'aveva con gli anziani e non ancora con i gay) aprì un numero titolando "Non muore mai" in riferimento a Berlusconi. Stando alle sue illazioni, quella andrebbe considerata una minaccia di morte (con la differenza che lui ne auspicava una repentina scomparsa, noi ipotizzavano che Adinolfi sarebbe restato sulla scena almeno altri quarant'anni).
Dinnanzi a informazioni scorrette e ad una buona dose di ipocrisia del personaggio che veniva citato quale fonte indiscutibile di quelle false accuse, vien da sé che offrire una corretta lettura dell'articolo e offrire una contestualizzazione delle frasi all'interno del loro contesto fosse un atto dovuto per la verità in sé ed anche verso quei lettori a cui è stata propinata una versione a senso unico in cui si accusavano delle persone di reati penali senza che venisse permesso loro di poter replicare.
Se da La Stampa ci fanno sapere di essere stati infastiditi dall'insistenza nel chiedere di accedere al diritto di di rettifica (la loro teoria è che attribuire frasi di rilevanza penale a qualcuno sia da ritenere «una contrapposizione di opinioni» ed che sia «superfluo» sapere se sia veritiera o meno), da Radio Padania non è stato possibile ricevere alcuna risposta (nemmeno per conoscere il nome del loro direttore responsabile). Eppure non si era dinnanzi ad una richiesta, ma ad un diritto previsto dalla legge. Ma evidentemente in Italia il diritto non conta nulla e vige la legge del più forte, motivo per cui può tranquillamente capitare che i diritti dei cittadini siano calpestati anche sia dai grandi quotidiani nazionali che da organi di partito che rappresentano persone che oggi siedono in Parlamento. E se il diritto non viene riconosciuto neppure da chi è preposto a garantirlo, come si può anche solo sperare che l'Italia possa avere un futuro?