Caso Uci Cinemas, la NuovaBQ: «Contro le lobby gay, Provita ha fatto valere l’oneroso contratto»
La libertà di parola è questione di soldi e chi paga deve poter dire qualunque cosa voglia senza contraddittorio. Se poi è l'integralismo a finanziare una campagna propagandistica a senso unico, allora non la si può contestare né si può rivendicare il proprio diritto di andare a pagare il biglietto d'ingresso in un'altra struttura. È quanto sostiene La Nuova Bussola Quotidiana.
In quel clima propagandistico in cui le realtà integraliste rilanciano sempre le solite notizie e le medesime tesi quasi a volerle rendere una verità rivelata per la loro ripetizione, anche la testata guidata da Roberto Cascioli non si è tenuta dall'intervenire in difesa della propagandando integralista nelle sale della catena Uci Cinemas. Al solito si sono omesse le reali argomentazioni, preferendo riscriverle in modo da poterle contestare più facilmente: se le proteste avevano riguardato l'uso di un ambiente cinematografico come mezzo per propinare un caso molto specifico come se fosse la norma (peraltro da parte di un'associazione nota per l'uso politico che è solita fare di certe circostante in una chiave di promozione dell'omofobia), loro preferiscono raccontare che:
Lo spot di Provita contro l’utero in affitto è tornato nelle sale cinematografiche del circuito Uci Cinema e sarà proiettato fino al 5 gennaio prima dell’inizio degli spettacoli. Come raccontato, il buon senso e la ragione hanno avuto la meglio dopo che il breve trailer era stato ritirato dalla direzione del colosso dei cinema su pressione di alcuni movimenti Lgbt che ritenevano la pubblicità contro la maternità surrogata una “violenta propaganda” contro al comunità gay.
Ovviamente la propaganda è contro il diritto di scelta delle donne e contro i gay c'è solo il loro sostenere che qualunque coppia non possa procreare (al pari di Gandolfini) debba essere esclusa da qualunque tutela giuridica se non è eterosessuale (come Gandolfini). Ma è a quel punto che la rivista di Cascioli precisa che dietro a tutto ciò ci siano solo questioni di soldi:
Provita ha fatto valere l’oneroso contratto che impegna entrambe le parti e attraverso il suo portavoce Uci Cinemas ha spiegato che la sospensione “è stata decisa dopo alcune segnalazioni”, e che la proiezione dello spot è stata “riammessa dopo le opportune verifiche”.
Si passa così a raccontare che Provita non ha nulla contro i gay e che è un puro caso se insieme a loro promuovano una cultura del disprezzo volta a negare pari dignità ad alcune famiglie o a spedire in centri di "cura" gli adolescenti che dovessero manifestare attrazione verso persone dello stesso sesso. Rinnegano di aver usato la maternità surrogata come scusa per tentare di impedire l'approvazione delle unioni civili e si spingono sino a scrivere che:
Insomma i responsabili della catena di sale hanno constatato con i loro occhi che nei 30 secondi del filmato non c’è alcun riferimento a persone o ambienti omosessuali. Lo spot, infatti, non è altro che uno stralcio del documentario ‘Breeders: donne di seconda categoria?’ che denuncia gli aspetti più crudi del mercato della maternità surrogata negli Stati Uniti, barbara pratica a cui attingono anche numerose coppie eterosessuali e che nella maggior parte degli stati del mondo, compresa l’Italia, è illegale.
Ovviamente andrebbe detto che, se in Italia tale è illegale, allora non si capisce perché mai se ne faccia pubblicità in una chiave in cui pare proprio che l'intenzione sia quella di punire quei bambini che sono nati in Paesi dove la gpa è legale, così come si cerca di strumentalizzare una cattiva informazione al fine di privare da ogni tutela giuridica dei minori, ma solo se sono coinvolte coppie omosessuali (dato che la stepchild adoption per le coppie eterosessuali è legge in Italia da oltre trent'anni).
E dopo la solita manfrina propagandistica, immancabile è la lista di proscrizione per quelle realtà che sostengono non avrebbero mai dovuto avere il diritto di esprimere un'opinione:
La marcia indietro Uci Cinemas -che salvaguarda la libertà di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo un reato– non è andata giù a numerosi gendarmi del politicamente corretto; ad alcuni esponenti di associazioni Lgbt che già avevano criticato la prima proiezione; ma soprattutto alla madrina della legge sulle unioni civili, la senatrice Monica Cirinnà, che dal suo profilo Facebook ha invitato tutti a boicottare il circuito Uci: “Se è vero che Uci Cinema trasmetterà ancora spot omofobi propongo boicottaggio. Scegliamo sempre chi non discrimina”. A soffiare sul fuoco è anche il sito Gayburg che fa illusioni su una possibile pressione della Conferenza episcopale italiana solo perché anche Avvenire ha dato notizia della vicenda.
Sostenere che Avvenire abbia semplicemente "dato notizia" della vicenda parrebbe contestare le stesse dichiarazioni di Provita, la quale riporta le dichiarazioni di Uci Cinemas come un qualcosa che sia stato fornito ai vescovi e non come una risposta che sia stata data direttamente a loro.
Lodati i militanti di Forza Nuova che sono stati inviati a contestare le proteste sulle pagine social della catena di cinema, si lanciano nell'asserire che «numerose associazioni di femministe e perfino di lesbiche hanno emesso dichiarazioni ufficiali contro ogni forma di maternità surrogata e che altrettanto hanno fatto, in occasioni pubbliche, noti omosessuali come Malgioglio, Signorini e Dolce e Gabbana. Insomma agitare i fantasmi dell’omofobia poco ha a che fare con la lotta contro l’utero in affitto, dal momento che anche molte coppie di eterosessuali attingono a questo mercato che riduce la maternità ad un commercio e il bambino ad un prodotto». Ma anche qui appare evidente che si stia dicendo che c'è chi è contrario e chi è favorevole, sottolineando come l'aver pagato l'assenza di contraddittorio in modo da poter lanciar messaggi decontestualizzati a senso unico è di per sé propaganda. Perché nessuno vuole impedire di avere opinioni divergenti, si vuole chiedere che non si usino i soldi come mezzo per cercare di aver ragione dopo aver soffocato qualunque forma di possibile contrasto al proprio pensiero unico.
Ed è per questo che sembra paradossale come l'articolo possa concludersi dicendo che «dobbiamo evitare che la libertà evocata a senso unico sia foriera della peggiori censure e di uno stato di polizia del pensiero unico».
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