Quando Filippo Roma fu condannato per diffamazione


Acclamato dall'integralismo cattolico, Filippo Roma sta conducendo una personale crociata contro l'Unar e contro l'Anddos a danno di un intero gruppo sociale. Ormai i suoi servizi sono divenuti una criminalizzazione del sesso gay a beneficio della propaganda neofascista, forse data l'impossibilità di spigare in che modo i fondi dell'Ufficio anti-discriminazioni avrebbero potuto finanziare dei circoli privati nel momento in cui nessun fondo era mai stato emesso prima e i quelli in previsione riguardavano un progetto in collaborazione con l'Università Sapienza di Roma.
Ogni sua parola viene oggi ripetuta come una verità rivelata dalle varie organizzazioni anti-gay, con immagini di orge sbattute tra madonne e crocefissi per invitare i bigotti a sostenere che quella sia la prova del perché ai gay debba essere impedito di sposarsi o di avere figli (guardassero cosa avviene nei club per scambisti, vedrebbero eterosessuali sposati che fanno assai di peggio).
Ma dinanzi a finanziamenti pubblici congelati e ad enti che hanno spezzato accordi di collaborazione sulla base delle illazioni di Roma, pare difficile non domandarsi come si ci possa fidare della parola di un uomo che non argomenta le sue tese e che nel marzo del 2016 è stato condannato per diffamazione. Proprio in merito ad un servizio trasmesso da Italia 1, i giudici gli hanno inflitto il pagamento di 52mila euro di risarcimento da versare a Cairo Editore. Il 22 gennaio 2016 il Pubblico ministero del Tribunale di Milano chiese per lui addirittura quattro mesi di reclusione.
L'inviato delle Iene riuscià a cavarsela per il reato di sostituzione di persona ipotizzato dall'accusa dopo che contattò il direttore di un settimanale fingendosi un'altra persona. Durante il dibattimento i difensori di Cairo editore avevano ipotizzato che i servizi televisivi di Roma avessero come scopo ultimo quello di attaccare un editore concorrente e non quello di produrre un'inchiesta su un tema ritenuto rilevante.
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