Il Vaticano, le veglie sull'omofobia e l'ipocrisia

Nella settimana tra il 14 e il 21 maggio si stanno svolgendo in tutta Italia iniziative, sia laiche che religiose, per la lotta all'omofobia, fra cui, a Firenze, quelle della Chiesa Protestante Unita. In questo contesto, certamente positivo, vi sono anche veglie di preghiera organizzate nelle chiese cattoliche che tuttavia determinano un grave fraintendimento nelle opinioni sia dei credenti che dei cittadini in genere.
Il fraintendimento, che sconfina nell'ipocrisia di alcuni, riguarda l’atteggiamento della Chiesa cattolica romana e dell’attuale pontefice nei confronti dell’omosessualità. Il 10 maggio scorso il quotidiano – un tempo progressista e laico ma ora sempre più allineato con il Vaticano – “Repubblica” titolava: Porte aperte ai gay, la svolta della Chiesa. In parrocchia le veglie antiomofobia, – facendo seguito alle famose parole di papa Francesco “Chi sono io per giudicare?”. Non sappiamo se l’articolista abbia avuto consapevolezza della confusione in cui ha indotto i suoi lettori, ma intendiamo chiarirlo.
Ora bisogna fare una premessa di carattere generale, su un aspetto di cui anche molti cattolici romani non hanno una esatta conoscenza: la Chiesa cattolica romana, oltre ad essere una organizzazione gerarchica, è anche fortemente burocratizzata e centralistica, perlomeno dall’XI secolo ad oggi. Le dichiarazioni e affermazioni dei suoi esponenti, incluso il Pontefice, non vincolano in alcun modo né i fedeli, né la stessa Chiesa di Roma, se non sono formalizzate per iscritto in un documento ufficiale (enciclica, bolla, breve, costituzione apostolica, decreto conciliare, esortazione apostolica, motu proprio) che a diverso livello di autorità e solennità sanciscono per tutto l’ecumene cattolico una decisione e/o una esortazione del pontefice e della Curia romana.
Le posizioni di apertura espresse dal pontefice non sono mai state formalizzate in questo modo. La conclusione che se ne deve trarre è che le parole di Francesco, per quanto possono essere state ispirate dalle migliori intenzioni, rimangono parole in libertà senza cambiare di una virgola la teologia e la morale cattolica in materia di sessualità e in particolare di omosessualità. Verba volant, scripta manent.
Infatti l’articolo di “Repubblica” da cui abbiamo preso le mosse per questo commento, cita nuovamente la Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali del 1986, scritta da Joseph Ratzinger (futuro Benedetto XVI) all'epoca Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex S. Uffizio). Un documento che non è stato minimamente smentito o scalfito dall'attuale Papa, quindi tuttora in vigore, un documento che afferma: «Scegliere un’attività sessuale con una persona dello stesso sesso equivale ad annullare il ricco simbolismo e il significato, per non parlare dei fini, del disegno del Creatore a riguardo della realtà sessuale. L’attività omosessuale non esprime un’unione complementare, capace di trasmettere la vita, e pertanto contraddice la vocazione a un’esistenza vissuta in quella forma di auto-donazione che, secondo il Vangelo, è l’essenza stessa della vita cristiana. Ciò non significa che le persone omosessuali non siano spesso generose e non facciano dono di se stesse, ma quando si impegnano in un’attività omosessuale esse rafforzano al loro interno una inclinazione sessuale disordinata, per se stessa caratterizzata dall'autocompiacimento». Nessun cambiamento formale, quindi, e nemmeno sostanziale visto che la maggiore o minore apertura dipende dal singolo prete e/o vescovo mentre le proposizioni del magistero vaticano sono molto precise e nette. Il documento di Ratzinger prosegue affermando che «la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all'affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata» e che «le persone omosessuali sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità. Se si dedicano con assiduità a comprendere la natura della chiamata personale di Dio nei loro confronti, esse saranno in grado di celebrare più fedelmente il sacramento della Penitenza, e di ricevere la grazia del Signore, in esso così generosamente offerta, per potersi convertire più pienamente alla sua sequela.» Alcune persone, quindi, possono anche essere nate omosessuali ma devono vivere in castità e penitenza (il concetto cattolico romano di penitenza, così profondamente diverso da quello protestante).
La conclusione di queste osservazioni è che qualunque proposizione del tipo “i tempi sono cambiati con Francesco” non è altro che una millanteria mediatica intesa a confondere l’opinione pubblica oppure ad autoilludersi. Quale sarebbe infatti la svolta propagandata da alcuni media e da taluni gruppi cattolici?
Vale la pena ricordare anche che proprio l’attuale pontefice Francesco ha paragonato la fantomatica teoria gender ad una guerra mondiale ed ha affermato che gli omosessuali non possono diventare preti. Jorge Bergoglio, come lo stregone narrato da Goethe, è rimasto intrappolato dagli spiriti che lui stesso ha evocato, stretto tra una opinione pubblica che desidera maggiore apertura per continuare a considerarlo un Papa “progressista”, e una dottrina cattolica che non può essere in alcun modo cambiata. In tutto questo ovviamente qualsiasi seria e ponderata discussione sulla Sacra Scrittura è annullata e considerata irrilevante.
Noi guardiamo con amore ai fratelli e sorelle cattolici che, spesso ingenuamente, hanno creduto e credono alle fittizie aperture del pontefice circa la questione omosessuale ma non saremmo sinceri se non dicessimo alcune cose: in primo luogo che l’ecumenismo per funzionare deve essere rispettoso delle differenze e delle distanze che intercorrono tra le Chiese su questo argomento come sugli altri. È tipico dei cattolici e dei loro gruppi definirsi “cristiani” tout court escludendo le altre sensibilità confessionali o mettendole ai margini senza rendersi conto che questa è una arroganza che ferisce ed esclude.
In secondo luogo che essi sono più o meno involontariamente strumentalizzati dalla gerarchia vaticana per i suoi fini socio-politici e culturali, che sono quelli che tenere insieme correnti anche di segno opposto sui temi teologici, ecclesiologici ed etici così come li intende la Chiesa cattolica.
Quello che auspichiamo è un confronto serio e pacato sul merito della questione, ricordando che, come protestanti, noi riconosciamo in Cristo l’unico Capo della Chiesa e non un uomo vestito in bianco che abita in Vaticano.

Andrea Panerini

Fonte: La Pagina Cristiana


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