È morto Stefano Rodotà, paladino dei diritti civili
«Inventarsi la “formazione sociale specifica” è un travisamento della Costituzione, e la sua vera finalità, dovendo avere il coraggio di chiamare le cose con il loro vero nome, non è quella di introdurre una distinzione, ma di riaffermare una discriminazione». È quanto Stefano Rodotà scrisse su Repubblica nel 2015, riconfermando una vita spesa per la difesa dei diritti e della Costituzione.
Insigne giurista con una lunga carriera politica alle spalle, Rodotà si è spento ieri all'età di 84 anni. Già nel 2011, quando le unioni civili non erano neppure all'orizzonte, Rodotà si dichiarava pubblicamente a favore del matrimonio egualitario.
Puntuale è giunto il cordoglio della politica. Sergio Mattarella, in un messaggio alla famiglia, ne ricorda "le alte doti morali e l'impegno di giurista insigne, di docente universitario, di parlamentare appassionato e di prestigio e di rigoroso garante della Privacy" e sottolinea come "la sua lunga militanza civile al servizio della collettività è stata sempre contrassegnata dalla affermazione della promozione dei diritti e della tutela dei più deboli". Il presidente del Senato, Piero Grasso, hha elogiato la sua "straordinaria capacità di affrontare con il linguaggio semplice temi complessi" e la "forza di lottare per i diritti di tutti". La presidente della Camera, Laura Boldrini ricorda la lotta per il "diritto di avere diritti anche nell'età digitale. Grazie, Stefano".
Una voce fuori dal coro giunge invece dagli haters di Adinolfi, i quali si sono gettati come avvoltoi rapaci nel pubblicaree insulti e insinuazioni contro la sua memoria, lamentando come Rodotà si sia sempre battuto a sostegno della laicità. Un impegno che evidentemente non piace a chi sostiene che i dogmi creati dai leader integralisti debbano essere imposti per legge, forse ritenendo che le loro posizioni siano così poco valide da ritenere che nessuno le seguirebbe se non le si impone con la forza.
Se poi consideriamo come a scrivere simili attacchi siano i seguaci di un partito guidato da un tizio che senza quella laicità non avrebbe mai potuto divorziare o riconoscere la figlia nata fra le lenzuola della sua seconda moglie, la puzza di ipocrisia è alta. Ed è difficile anche comprendere perché mai Adinolfi si batta così assiduamente perché sia reintrodotta una sorta di sharia cattolica che ci porterebbero a ritenere la sua secondogenita una figlia illegittima nata dalla lussuria e dall'adulterio. Se oggi quella bambina ha pieni diritti, è anche grazie a persone come Rodotà (e non certo a quel padre sconsiderato che la vorrebbe condannare ad essere etichettata come un abominio dinnanzi a Dio).