Facebook rigetta il ricorso di Gayburg: non avrebbe dovuto criticare le posizioni del prete antigay
Dopo oltre quattro giorni dal nostro appello contro la sospensione influitaci da Facebook, il social network ci comunica che il motivo della decisione sarebbe una violazione del comma D del IV paragrafo delle condizioni d'uso, ossia:
Le Pagine non devono contenere affermazioni o contenuti falsi, fuorvianti, fraudolenti o ingannevoli.
In altre parole, ci viene detto che il motivo del blocco sarebbe la pubblicazione di un articolo ritenuto fraudolento. Dato che lo staff si guarda bene dall'indicare quale contenuto avrebbe scatenato quel provvedimento, è sfogliando la pagina che si può osservare come ad essere "magicamente" scomparso sia l'articolo dedicato all'intervista di Famiglia Cristiana al parroco che non vuole scout gay. Se due più due fa quattro, si può presumere che sia quello il contenuto che Facebook non ha gradito.
Eppure in quella sede non è stato affermato nulla, si è semplicemente citato un virgolettato (peraltro includendo integralmente l'intervista in modo da permettere di poter verificare che non vi fossero state alterazioni) e ci si è permessi di osservare che c'è una certa ipocrisia nel sostenere contemporaneamente che il ragazzo preso di mira sia un bravo educatore ma che non possa fare l'educatore perché gay. Se il permettersi di criticare una simile posizione è da intendersi come un vietatissimo atto fraudolento, allora forse la libertà di pensiero è stata abolita.
E fa ancora più riflettere come un provvedimento tanto inspiegabile ci porta ad osservare come a non essere ritenute frasi false siano quelle in cui Adinolfi spergiura che i gay siano da intendersi come potenziali assassini o pedofili, così come a salvarsi sono anche tutte quelle pagine omofobe che quotidianamente pubblicano centinaia di bufale finalizzate alla promozione dell'odio. Evidentemente è fatto divieto sostenere che la dignità sia per tutti, ma non il sostenere che i gay non abbiano il diritto di poter vivere...
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