Provita «L’unione tra Claudio e Manlio non era matrimonio. Magari si convincono a dare vita a una famiglia vera, con una donna»
L'integralista Toni Brandi è da anni al fianco di Mario Adiunolfi in una crociata di inciviltà atta a danneggiare un intero gruppo sociale, ma forse ignora che suo compagno di omofobia è un tizio che ha divorziato dalla sua prima moglie per ingravidarne una tizia "sposata" in tuta e scarpe da ginnastica in un casinò di Las Vegas. Pare ignorare anche che quel Salviuni che lui promuove (con tanto di partecipazioni alle manifestazioni di partito) ha una ex-moglie e una figlia avuta da una donna che però non è la sua attuale compagna.
Se conoscesse questi fatti, sarebbe davvero molto ipocrita e poco etico il suo attacco alla vita di due persone per bene che lui vorrebbe crocifiggere solo perché il loro rapporto è finito.
Sulle pagine del suo sito di promozione integralista, l'integralista Teresa Moro scrive:
Fino ad ora abbiamo parlato di “matrimonio gay” (in maniera impropria, dal momento che il matrimonio in quanto tale è solo quello tra un uomo e una donna), ora dobbiamo cominciare a parlare di “divorzio gay”. La questione è abbastanza semplice, almeno per coloro che remano contro la famiglia naturale: se ci si può sposare, si può divorziare; e se il divorzio “etero” esiste dal 1974 in Italia, il divorzio “gay” esiste da un anno e qualcosa, ossia da quando le unioni civli sono divenute legge anche nel Bel Paese.
Matrimonio gay e divorzio gay, quindi. E sorprende poco che gli attori dell’uno e dell’altro siano sempre gli stessi: il giornalista dell’Internazionale Claudio Rossi Marcelli e il “marito” (sic!) Manlio erano stati una coppia simbolo per l’approvazione delle unioni civili in Italia e ora sono una delle prime coppie ad accedere al divorzio gay.
In quell'uso dei bambini come strumento di promozione dell'intolleranza, la signora Moro pare non farsi problemi neppure nel mettersi lì ad insultare quella famiglia e il loro rapporto padre-figlio. Con un ferocia di inumana violenza e con una cattiveria che pare superare qualunque limite, afferma:
Sei anni di unione: e pensare che si dice che la crisi matrimoniale solitamente arrivi nel corso del settimo anno…
Tre figli a carico, due gemelle e un bambino, che messi assieme non raggiungono nemmeno i trent’anni di età. Tutti e tre nati dalla stessa mamma californiana e poi strappati dalle sue braccia per essere cresciuti tra la Svizzera e la Danimarca dai loro “due papà”. Tre bimbi anche voluti e amati, forse (che vuol dire amare?), ma sempre con il termometro del sentimentalismo e sotto le lenti dell’ideologia omosessualista. Per capirlo è sufficiente leggere la risposta “spiritosissima” data dal giornalista Rossi Marcelli a un lettore che gli chiedeva quale fosse stato il cambiamento più grande in seguito all’arrivo di un figlio: «[…] la cacca. L’arrivo di un bambino cambierà il tuo rapporto con le feci in un modo che prima è difficile immaginare». Una risposta di …, che speriamo i tre piccoli bimbi non leggano mai.
Ad ogni modo, fine della storia: The end. E pensare che la coppia stava insieme da vent’anni, era ormai rodata… ma, si sa, “il matrimonio è la tomba dell’amore”. Già
Chissà, magari potremmo anche noi augurarci che gli eventuali figli della Moro non scoprano mai quanto male e quanta violenza abbia creato quella donna, una integralista che appare incapace di comprendere che la diversità è parte della natura e dei piani di quel Dio in cui dice credere (anche se dai fatti non sempre si direbbe). Ma è a qual punto che l'integralista ri rende ridicola scrivendo:
«Oh, adesso però non iniziamo con la solita tiritera tradizionalista sul fatto che il matrimonio è indissolubile…», penserà qualcuno. Assolutamente no. L’unione tra Claudio e Manlio non era matrimonio, quindi il fatto che si siano separati potrebbe portare in sé dei risvolti positivi: chissà, magari si convincono a dare vita a una famiglia vera, con una donna…
In tutto questo c’è però un “ma”, e neanche piccolo: nel giocare al “matrimonio per tutti” ci sono andati di mezzo tre bambini (e una donna: la loro mamma). Tre piccoli innocenti che sono stati cullati nel grembo di una donna dalla quale sono poi stati strappati appena nati. Tre bambini che non hanno potuto abbandonarsi al suono di quel battito cardiaco che per nove mesi li aveva accompagnati; che non hanno potuto ascoltare le ninna nanne cantate da quella voce femminile divenuta oramai familiare; che non hanno potuto bere quel latte con i gusti ai quali ormai si erano abituati; che non hanno potuto godere del calore materno e delle cure che solo una donna sa dare a un neonato e a un bambino nei primi anni di età…
E, ancora, tre bambini che non hanno potuto sperimentare la differenza tra papà e mamma che così tanto serve ai piccoli per definire la propria identità sessuata e che così tanto insegna sul mondo e sulle relazioni. Tre piccoli che cresciuti in un ambiente maschile, che sono stati educati in un contesto dove il relativismo regna sovrano e che sono stati sballottati da una parte all’altra del mondo. «Lo impone il progresso, bimbi», «noi siamo vittime di un mondo omofobo», si saranno sentiti ripetere quale giustificazione al caos attorno – e forse dentro – a loro.
Questa storia lascia tre bambini orfani, vittime innocenti di un mondo che di gaio non ha nulla. E poco importa se Claudio e Manlio hanno «deciso di continuare da amici. E da co-genitori. Anche se io e lui non siamo più una coppia noi cinque restiamo a tutti gli effetti una famiglia». La sofferenza di questi tre piccolini non si sanerà facilmente.
Mi raccomando, eh: divorzio gay per tutti perché «Love is love»… ma finché dura.
Peccato che quando Adinolfi ha dichiarato dinnanzi alla sua primogenita di aver lasciato la su aprima moglie perché aveva trovato una donna più giovane che gli piaceva di più, la signora Moro non si sia scomposta. Non ha detto ad Adinolfi che aveva abbandonato sua figlia o che l'aveva resa orfana. Non ha neanche detto che Adinolfi ha danneggiato la sana crescita della su parole confondendole con una famiglia fatta da un uomo e molteplici donne.
Ma si sa, non è questo ciò da cui la la signora Moro spera di trarre profitto. Il suo scopo è la promozione dell'odio e quindi bisogna far finta che i divorzi degli etero siano diversa da quelli dei gay, così come il nazismo sosteneva che le situazioni degli ariani fossero diverse da quelle degli ebrei. Dato che la verità non porta voti all'estrema destra, ecco che ci ricama un finto moralismo che non riserva ai suoi amici di omofobia. Il tutto spingendosi persino nel sostenere che i bambini dovrebbero crescere con un padre gay che non ama la donna che lei esige debba sposare al solo fine di ingravidarla.
Ora potremmo anche augurarci che le persone diffamate dalla signora Moro possano sporgere denuncia verso di lei, anche se pare incredibile che la giustizia debba basarsi sull'iniziativa di singoli cittadini mentre lo stato infrange i suoi doveri costituzionali nell'astenersi dal difendere le minoranze attaccate da simili gruppi d'odio. E fa anche riflettere come all'associazione Provita venga ancora riconosciuto lo status di "onlus" nonostante i suoi benefici (a carico dell'intera collettività) vengano usati per pubblicare simili porcate.
Leggi l'articolo completo su Gayburg