L'arcivescovo di Torino invita all'illegalità e chiede che la volontà dei malati sia calpestata
L’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, pare avere enormi problemi nell'accettare che gli esseri umani abbiano dei diritti civili individuali e non siano marionette che lui può muovere come meglio preferisce. Dal suo pulpito è solito sbraitare ai suoi fedeli che la legge non conta nulla, conta solo il suo volere: se la legge permette ai gay di potersi unire civilmente e lui odia il loro amore, la legge deve essere violata a danno di quelle coppie. Se l'Oms riconosce nell'omosessualità una naturale variante dell'orientamento sessuale ma lui odia i gay, allora bisogna difendere quegli insegnanti di religione che vanno nelle scuole a dire ai ragazzi che i gay sono dei "malati" che devono essere "curati". Tutto diventa opinione e la violenza viene eletta a dogma di fede mediante un Dio costantemente stuprato dalla sua propaganda al solo fine di poter tutelare il suo potere temporale. Non deve poter muove foglia che Nosiglia non voglia.
L'ultima offensiva del prelato è un invito all'illegalità e all'imposizione di inutili sofferenze contro il volere dei malati (ma a vantaggio del contro economico di quelle strutture sanitarie di proprietà della Chiesa che si faranno pagare dallo stato ogni minuto di tortura inflitto alle loro vittime). Ai giornali l'uomo dichiara: «Intendo esprimere anche pubblicamente, come ho già fatto di persona, il mio apprezzamento a don Carmine Arice, padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza per la decisione di non applicare, nelle strutture ospedaliere del Cottolengo, le disposizioni anticipate di trattamento per il fine vita, anche andando incontro a tutte le conseguenze di legge che tale scelta comporta».
Insomma, chi avrà la sfortuna di finire nella casa-tortura del Cololengo si vedrà negati i suoi diritti civili perché l'arcivescovo dice di provare un sadico piacere nel vedere i sofferenti attaccati a tubi che possano prolungare la loro agonia senza alcuna possibilità di cura. E se il malato esprimerà la volontà di non subire tutto quello, loro glielo imporranno contro la sua volontà, brandendo rosari e crocefissi come "giustificazione" a quella feroce violenza.
Si comprende così perché abbiano fatto santa quella madre Teresa che fatturava sui malati mentre negava loro ogni assistenza medica adeguata e impediva qualunque terapia del dolore potesse alleviare le loro pene. La sua teoria è che a Dio piacesse tanto vedere la sofferenza umana, anche se poi lei se ne andò negli Stati Uniti e si garantì cure assai diverse quando fu lei ad aver bisogno di assistenza medica.
Non meno gravi e perverse paiono le dichiarazioni di don Arice, il sadico lodato dall'arcivescovo per il suo aver affermato che: «Non possiamo eseguire pratiche che vadano contro il Vangelo. Pazienza se la possibilità dell’obiezione di coscienza non è prevista dalla legge: è andato sotto processo Marco Cappato che accompagna le persone a fare il suicidio assistito, possiamo andarci anche noi che in un possibile conflitto tra la legge e il Vangelo siamo tenuti a scegliere il Vangelo».
Se Salvini avrebbe motivo di essere orgoglioso di tanto populismo, il "ragionamento" del sacerdote pecca di alcune evidenti incongruenze. Innanzi tutto i Vangeli ci raccontano che Gesù morì in croce e non che sia stato attaccato ad un qualche tubo che potesse prolungare artificialmente la sua agona. In secondo luogo c'è una certa differenza fra un Marco Cappato che ha aiutato un cittadino nella sua autodeterminazione e un prete che vuole ignorare la volontà del malato per imporgli vere e proprie torture. Il principio dell'arcivescovo è che la vita sia tua ma a decide debba essere lui, in una bestemmia contro quel Gesù che invitava a seguirlo e mai impose nulle. Ma forse Gesù era un deficiente e sicuramente l'arcivescovo di Torino è molto più bravo di lui nel sapere che Dio ama il dolore, gode della sofferenza umana e sbaglia a chiamare a sé i suoi figli quando lui non vole impedire il trapasso naturale mediante accanimenti terapeutici compiuti contro la volontà del malato.