La Corte Ue boccia i fantomatici test ungheresi volti a valutare l'orientamento sessuale dei migranti
Un richiedente asilo non può essere sottoposto a fantomatici "test psicologici" per accertare il loro orientamento sessuale. Lo ha stabilito la Corte Europea per i diritti dell'uomo.
La sentenza ha analizzato il caso di un gay nigeriano che nell'aprile del 2015 aveva presentato alle autorità ungheresi una domanda di asilo perché temeva di essere perseguitato nel suo Paese di origine a causa della propria omosessualità. Ma in un Paese in cui in cui i migranti vengono barbarente etichettati dal premier Orban come «invasori musulmani», le autorità si erano inventate che il ragazzo dovesse fornire prove oggettive della sua omosessualità attraverso un fantomatico gay che avrebbe dovuto stabilire se lo si dovesse ritenere o meno «meritevole di morte» secondo la lettura testuale di san Paolo promossa da Adinolfi.
Sperando non gli abbiano chiesto se ama i fiori o se legge riviste di meccanica come accadeva alla visita di leva proposta in Italia, il giovane non avrebbe superato il test e le autorità ungheresi lo volevano ribattere in un Paese in cui quelle dichiarazioni lo avrebbero sicuramente reso vittima di violenze.
Appellatosi alla Corte Ue, il richiedente asilo ha stabilito che l'effettuazione di un simile test costituisce un'ingerenza sproporzionata nella vita privata del richiedente. Sostenendo che i test psicologici della perizia controversa comportavano una grave violazione dei suoi diritti fondamentali, senza consentire di valutare la veridicità del suo orientamento sessuale.
Il tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, in Ungheria, chiedeva di poter valutare le dichiarazioni di un richiedente asilo relative al suo orientamento sessuale basandosi su una fantomatica perizia psicologica. La Corte ha sentenziato che è possibile disporre una perizia, ma solo se conforme ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, quali il diritto al rispetto della dignità umana e il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La Corte ha anche sottolineato che, nell'ambito della valutazione delle dichiarazioni di un richiedente relative al proprio orientamento sessuale, le autorità e i giudici nazionali non possono fondare la propria decisione solo sulle conclusioni di una relazione peritale che non può portare ad alcuna reale conclusione.