Ecuador. Stupri e violenze nelle fantomatiche cliniche per la "cura" dei gay


L'ennesima storia dell'orrore omofobico giunge dall'Ecuador, una terra in cui il fondamentalismo religioso porta alcune famiglie a rinchiudere i loro stessi parenti all'interno di fantomatiche cliniche di "riabilitazione dei gay" che promettono di poter "curare" la loro omosessualità mediante una sistematica violazione dei diritti umani.
Sono più di 100 le "cliniche" accusate di abusi, inchiodate dalla testimonianza di vittime che sono state messe in isolamento, legate per giorni al proprio letto, obbligate con la forza ad assumere medicinali o violentate come misura "correttiva" da parte di altri pazienti e dallo staff.
I pazienti vi venivano rinchiusi contro la loro volontà per periodi di almeno tre mesi, mentre ai loro parenti veniva chiesto il pagamento di una retta da 1.500 dollari mensili. In Ecuador l'omosessualità è stata legalizzata nel 1997 e le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono legali da oltre un decennio. Per questo motivo molti genitori rinchiudevano i propri figli in quelle strutture dietro copertura, raccontando si sarebbe trattati di centri per la riabilitazione da droga o alcol.
L'ex ministro della sanità, Carina Vance, è dichiaratamente gay e tra il 2012 e il 2015 ha guidato numerose incursioni nelle cliniche che promettono di "curare" l'omosessualità eppure, dal 2012 ad oggi, nessuno è mai stato giudicato colpevole o punito per quelle violazioni.

Nel 2013, la ventiduenne Zulema Constante, una studentessa di psicologia di Guayaquil, ha rivelato che la sua famiglia ha organizzato il suo rapimento dopo aver scoperto che era lesbica. È stata mandata in una clinica di "conversione" che si trovava a 10 ore di strada da casa sua.
«Due mesi prima avevo detto alla mia famiglia che ero lesbica -spiega- e da allora hanno iniziato a minacciarmi. Ero spaventata. Sapevo che la principale "terapia" in queste cliniche era lo stupro. Mi hanno detto che ero cattiva, che stavo facendo del male alla mia famiglia, che ero manipolato dalla mia ragazza e che Dio ha fatto la donna per gli uomini. Sapevo che mi avrebbero stuprato se non avessi obbedito, così ho fatto tutto quello che mi hanno chiesto, tutto quello che potevo fare per sopravvivere fino a quando non sarei potuta scappare o qualcuno mi avesse salvata».
Constante racconta anche di non aver più parlato con la sua famiglia da allora. «La prima volta che ho visto mio padre, al mio lavoro, ero terrorizzato, sono scappato e mi sono nascosto. Non hanno mai detto scusa, non hanno mai mostrato rimpianti. Sono ancora spaventata e non mi fido di loro».
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