Provita: «Silvana De Mari ha sancito il diritto di poter criticare lo stile di vita gay»
Mentre Toni Brandi continua a sporgere opinabili denunce contro chiunque osi esprimere opinioni contrarie alla sua ideologia, è dalle pagine della sua organizzazione di promozione omotransofobica che lo troviamo nuovamente impegnato a sostenere che i gay devono potere essere insultati e offesi a proprio piacimento in virtù di come lui continui a sostenere che la condanna della sua Silvana De Mari debba essere ritenuta una vittoria.
La surreale teoria viene sostenuta da Giuliano Guzzo, un fondamentalista citato ossessivamente nelle memorie difensive della pregiudicata in virtù dei suoi libri in cui spergiura esisterebbe una fantomatica «ideologia gender». Con una ferocia contro natura e con un atteggiamento che appare contrario alla stragrande maggioranza dei principi costituzionali, è dalle pagine di Provita Onlus che Guzzo scrive:
Lo scorso venerdì 14 dicembre, a Torino, si è concluso il primo grado di giudizio del processo contro Silvana De Mari, alla quale erano contestati otto contestati capi di imputazione. I grandi media – come c’era da aspettarsi, conoscendoli – hanno raccontato la sentenza emessa come una condanna del medico e scrittrice che, secondo i canoni della cultura dominante, sarebbe «omofoba» e che quindi, in quanto tale, avrebbe offeso ingiustamente le persone omosessuali; di qui la sua condanna. La realtà però è ben diversa, sia perché in Italia si è innocenti fino al terzo grado di giudizio sia perché, di fatto, la De Mari è stata assolta da sei capi di imputazione sugli otto contestati.
Se chi subisce una condanna di primo non è innocente checché lui ne dica, ancor più surreale è come dica che l'omofobia sarebbe un diritto e che la sua amichetta sarebbe stata assolta sulla base di quello che lei sostiene in post che si è poi affrettata a rimuovere da Facebook:
In particolare, com’è lei stessa a raccontare, con la sua assoluzione è stato riconosciuto un diritto importante: quello di poter criticare lo stile di vita gay. «Sono stata assolta da tutte le accuse riguardanti offese alle persone con un comportamento omoerotico», ha sottolineato la dottoressa De Mari, «quindi ora sappiamo che possiamo affermare che la condizione maschile omoerotica passiva è gravata da un tasso di malattie sessualmente trasmissibili venti volte superiore al resto della popolazione (ma in uno studio eseguito a New York City è 140 volte di più)». L’assoluzione per aver fatto affermazioni del genere in un contesto culturale gayfriendly come il nostro, che vede il mondo Lgbt osannato, non è certo cosa di poco conto.
I gay verrebbero osannati, dice. Peccato basti guardare il numero di aggressioni che è stato innescato dalla propaganda fondamentalista di cui Guzzo è parte per comprendere che siamo dinnanzi al solito fondamentalista a cui piace dare falsa testimonianza in ode alla sua convenienza. Ed è sempre vomitando odio che si mette pure a giurare che i gay sarebbero fonte di malattia o che l'orientamento sessuale debba essere ritenuto «uno stile di vita» in una negazione della realtà scientifica.
Si passa così a sostenere che i gay impedirebbero ai poveri omofobi di poter manifestare il loro odio, giurando che tale pretesa non debba essere paragonata al sacro diritto di Toni Brandi si denunciare le professoresse del Giulio Cesare di Roma che osarono proporre la lettura di un libro a lui sgradito in quanto non focalizzato all'esaltazione dell'eterosessualità secondo il suo volere:
Tuttavia, anche un atteggiamento di eccessivo entusiasmo per questa sentenza sarebbe fuori luogo. Infatti la bestsellerista piemontese è stata comunque riconosciuta colpevole per un paio di sue prese di posizione: quella secondo cui il movimento Lgbt starebbe intralciando la libertà di parola – intralcio per esemplificare il quale la De Mari aveva citato un apposito “decalogo” messo a punto per i giornalisti – e i rapporti che il movimento Lgbt intrarrebbe con gruppi pedofili.
Quello che il fondamentalista Guzzo spaccia per un «decalogo» è in realtà un semplice documento che spiega ai giornalisti come usare un linguaggio rispettoso verso le persone gay. Ma dato che Provita incita l'uso del maschile quando ci si riferisce a ragazze transessuali o gode nell'usare termini dispregiativi verso chiunque non sia conforme alla loro ideologia eterocentrica basata sull'attribuire valore giuridico ai coiti e ai pruriti sessuali del loro presidente, ecco che loro non tollerano possa esserci rispetto per le vittime delle loro campagne d'odio.
Si passa così alla beatificazione di chi vomita odio:
Questo tuttavia non ci impedisce – ricostruite, sia pure in estrema sintesi, le dinamiche processuali – di esprimere un giudizio sulla vicenda. Un giudizio non giuridico evidentemente, ma più generale a proposito di due semplici aspetti. Il primo è il coraggio della dottoressa Silvana De Mari. Un coraggio manifestato non tanto e non solo nel processo, ma anche prima di esso, dato che probabilmente, anzi certamente, lei per prima era consapevole che di questi tempi un certo tipo di affermazioni, così politicamente scorrette, avrebbero potuto anche avere conseguenze di un certo tipo, come quelle che ha purtroppo avuto.
Il secondo aspetto rilevante e meritevole di una sottolineatura concerne il senso della battaglia e, più ancora, di una vittoria possibile sì, ma solamente quando si accetta la sfida. Viceversa, se ci si rassegna in partenza la sola cosa certa è la sconfitta. In un suo memorabile passo, G.K. Chesterton profetizzava un tempo nel quale «spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate» (Eretici, Lindau, Torino 2010, pp. 242-243). Il celebre scrittore però non precisava quale sarebbe stato il tempo, né chi avrebbe avuto il coraggio di sguainare la spada per primo. Ora però sappiamo che quel tempo è arrivato e che ad impugnare la spada e a guidare l’esercito del buon senso, c’è una donna coraggiosa come Silvana De Mari.
Firmato, l'uomo che guadagna denaro attraverso il suo ossessivo tentativo di danneggiare la vita al prossimo in ode ai suoi pruriti sessuali e alla sua frenesia nell'occuparsi ossessivamente di cosa avvenga sotto le coperte altrui. Insomma, un uomo di cui si potrebbe avere anche pena se non fosse così feroce nella sua aggressione alla vita, alle famiglie e agli affetti altrui.