Storia -

È tornato in libreria il libro di Heinz Heger, il primo gay ad aver denunciato l'esistenza dei triangoli rosa

È tornato sugli scaffali delle librerie italiane il libro-testimonianza "Gli uomini con il triangolo rosa" di Heinz Heger, lo studente universitario che per primo, nel nel 1972, denunciò le deportazioni dei gay nei campi di concentramento nazisti.
Heger ha raccontato di come i nazisti scelsero un triangolo rosso per contrassegnare i «degenerati», optando per un colore che insultasse la loro dignità e un lembo di stoffa «più grande degli altri di circa due o tre centimetri». Heinz Heger, poco più che ventenne, era uno dei detenuti costretti a portare quel marchio. Venne spedito in un lager nel 1940 a causa della sua relazione con il figlio di un gerarca nazista.
Arrivò nel campo di concentramento di Sachsenhausen con un vagone bestiame nel gennaio del 1940. Chi era marchiato con il triangolo rosa doveva rispettare delle regole diverse dagli altri: «Potevamo dormire solo in camicia da notte e con le mani fuori dalle coperte. Un omosessuale non poteva ricoprire un ruolo nel campo, né scambiare una parola con i detenuti degli altri blocchi: questo per evitare che potessimo traviarli».
«Su ordine del comandante supremo delle Ss Heinrich Himmler, nell’estate del 1943 venne aperto un bordello per detenuti. Noi omosessuali eravamo obbligati a frequentarlo regolarmente per ‘guarire’ dal nostro orientamento». A molti gay venne offerta la castrazione in cambio della promessa di essere rilasciati. Lo stesso Heger ricevette quella proposta, ma rifiutò nella convinzione che il suo ruolo di kapò avrebbe potuto comunque offrirgli una speranza di salvezza.

«Si tratta della prima testimonianza in assoluto di un deportato gay nei campi di concentramento», spiega Giovanni Dall’Orto, lo storico che ha curato la nuova edizione italiana, pubblicata quest’anno da Edizioni Sonda. «All’epoca il romanzo fu accolto da un successo mondiale, perché la persecuzione degli omosessuali era del tutto ignota. È solo grazie a Heger se altri deportati iniziarono a raccontare le proprie storie. Per questo, rappresenta una pietra miliare del nostro tempo».


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