Una vita al confino nell'Italia fascista
Si celebra oggi la Giornata della Memoria, un appuntamento che ogni 27 gennaio propone la commemorazione delle vittime del nazi-fascismo come occasione per non dimenticare l'accaduto e come occasione per non ricadere negli errori del passato. Ed è in questa occasione che proveremo a ricordare la storia dei gay che il fascismo mise al confino sull'isola si San Damiano.
L'isola di San Domino, nelle Tremiti, è una porzione di terra completamente circondata dal mare. Fu quella la destinazione scelta dal regime fascista per istituire una delle loro colonie penale per omosessuali.
Contrariamente alla Germania nazista, l'Italia fascista non introdusse mai una chiara criminalizzazione dell'omosessualità. E beché sia stato discusso un articolo 528 che prevedeva il carcere da uno a tre anni per chiunque avesse relazioni omosessuali, ma la norma venne approvata. Ma quello non fu un atto di tolleranza, solo l'espressione di come Mussolini ritenesse che la criminalizzazione dell'omosessualità avrebbe significato dover ammettere l'esistenza dei gay anche lui sosteneva che in Italia non ne esistessero. Era quello il motivo per cui cerchi di nasconderli, cancellando le loro vite.
Nella relazione della Commissione Appiani, che si occupava della messa a punto del Codice Rocco, la soppressione dell'articolo venne argomentata sostenendo che “la previsione di questo reato non è affatto necessaria perché per fortuna e orgoglio dell'Italia il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l'intervento del legislatore, nei congrui casi può ricorrere l'applicazione delle più severe sanzioni relative ai diritti di violenza carnale, corruzione di minorenni o offesa al pudore ma noto che per gli abituali e i professionisti del vizio, per verità assai rari, e di impostazione assolutamente straniero, la Polizia provvede fin d'ora, con assai maggiore efficacia, mediante l'applicazione immediata delle sue misure di sicurezza detentive”.
Tra il 1936 ed il 1940, circa 300 omosessuali furono inviati al confino tra Lampedusa, Ustica e l'isola di San Domino. Quarantacinque di loro erano di Catania, vittime dell'omofobia del questore Alfonso Molina, particolarmente impegnato nel cercare di identificare e punire i gay che vivendo nella città. Nel documento ufficiale del provvedimento di confino per gli abitanti di Catania, scriveva: “il dilagare di degenerazione in questa città ha richiamato la nostra attenzione. Ritengo indispensabile, nell'interesse del buon costume e della sanità della razza, intervenire energicamente perché il male venga aggredito e cauterizzato nei suoi focolai. A ciò soccorre, nel silenzio della legge, il confino di polizia”. Asseriva anche che “la piaga della pederastia in questo capoluogo tende ad aggravarsi e generalizzarsi perché giovani finora insospettati ora risultano presi da tale forma di degenerazione sessuale”.
In una lettera datata 6 ottobre 1939 ed indirizzata al Ministero degli Interni, Leonardo a' Francisa, condannato a cinque anni di confino, scriveva:
È da otto mesi che sospiro la libertà tutti i giorni, in tutte le ore, in tutti i momenti. La legge umana fa espiare i delitti e i reati degli uomini, privandoli di essa, Dio nell'Eden punì l'uomo con la morte, ma non gli tolse la libertà. Dunque vale più della vita. La vita senza di essa è morta, specialmente per un ragazzo a vent'anni, che deve pensare seriamente al suo avvenire. Ed io quale delitto, quale male ho commesso per essere privato così inesorabilmente di questo grande tesoro? Di qual reato di quale scandalo mi si può incolpare?
Sull'isola di San Damiano, i gay venivano portate in catene e poi lanciati liberi di muoversi sotto la sorveglianza delle guardie. La giornata iniziava all'alba e terminava alle otto di sera. I confinati vivevano con 5 lire al giorno (un chilo di pane costava circa 2 lire e quaranta). Nacquero anche storie d'amore e di prostituzione: un ragazzo di nome Giuseppe, confinato sull'isola, raccontava che “là ci sono state perfino coltellate fra siciliani, per passione. Poi non avevamo abbastanza soldi, e qualcuno era costretto a fare marchette con chi era più ricco”. Nello stesso documento viene spiegato che anche alcuni pescatori e rappresentanti delle forze dell'ordine facevano tappa a San Domino per togliersi lo sfizio di un rapporto mercenario con altri uomini.
Con l'ingresso dell'Italia in guerra, l'isola di San Domino venne riconvertita a carcere per i prigionieri stranieri. Riportati a casa, i gay furono soggetti all'obbligo di firma in questura ogni sera. E le cose non migliorarono neppure con la fine della guerra. Dario Petrosino, sulla base della documentazione conservata all'Archivio Centrale dello Stato, scrive:
Nelle relazioni al capo della polizia conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato (ministero dell’interno, dipartimento generale della pubblica sicurezza), emerge con chiarezza la consistenza del fenomeno: la raccolta dei dati ha inizio nel novembre 1952 e già in quell'anno in soli due mesi vengono eseguiti 518 provvedimenti di polizia che salgono a 1117 nel 1953 e 1407 nel 1954. Da 1955 inizia un calo che vede scendere il numero dei provvedimenti a 671 e poco sopra i 600 negli anni successivi. Poi la curva ricomincia a salire e a metà degli anni ’60 gli omosessuali finiti sotto la lente della pubblica sicurezza sono ancora di più: 1474 nel 1964, ben 3062 nel 1965. Possiamo affermare con rapido calcolo che tra il 1952 e il 1965 furono compiuti in Italia dalla polizia più di 11 mila provvedimenti tra fermi, ammonizioni, diffide, arresti e invii al confino nei confronti degli omosessuali.
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